Per le donne disabili la sanità diventa diritto difficile con visite ed esami cancellati o rimandati
Durante la pandemia i ritardi, le posticipazioni e le cancellazioni delle visite, prestazioni ambulatoriali ed esami diagnostici sono diventati usuali. Problemi enormi per i pazienti normodotati, figurarsi per le persone con disabilità. Con la pandemia si è evidenziata tutta l’inadeguatezza dei servizi sanitari e sociali visto come le persone sono rimaste confinate nei servizi residenziali, nel proprio domicilio senza aver accesso a misure alternative o nelle loro case se già vivevano da soli.
Fish e Fand (Federazione tra le associazioni nazionali delle persone con disabilità) rimarcano come, sia l’attuazione dei Livelli essenziali di assistenza, sia l’erogazione di ausili e presidi siano stati molto deficitari in questi ultimi due anni. «In questo periodo di pandemia» si legge nel report, «ci siamo resi conto di quanto l’accesso alle cure sia importante e abbiamo sperimentato come gli appuntamenti venissero spostati per dare spazio all’emergenza e come certi reparti non permettessero di fissare nuove visite o venissero convertiti in comparti Covid». Il tutto a discapito di prevenzione, cura o interventi chirurgici di natura diversa. «Per molte persone con disabilità, questo senso di esclusione dall’accesso ai servizi per la salute spesso rappresenta la norma», denuncia Stefania Pedroni, vicepresidente dell’Unione italiana lotta alla distrofia muscolare (Uildm). Situazione che diventa ancora più critica per chi soffre di una patologia grave, come ad esempio una malattia genetica rara.
A nulla serve ricordare come il diritto alla salute sia un diritto inviolabile, sancito dall’articolo 25 della Convenzione Onu del 2006 in base al quale le persone disabili devono poter godere del miglior stato di salute possibile senza discriminazioni legate alla loro disabilità. Anche quando questi pazienti hanno problemi che non sono collegati direttamente alla loro patologia (oculistici, ginecologici, mentali). In Italia la traduzione in pratica di questa raccomandazione deve fare i conti con ostacoli senza fine, a partire dall’inaccessibilità delle strutture dovuta alla presenza di barriere architettoniche per arrivare e poche informazioni sulla salute disponibili da parte dei soggetti con disabilità e spesso alla mancanza stessa di una preparazione adeguata delle èquipe mediche sulle particolari esigenze di questi pazienti.
Quando poi il disabile è una donna, il discorso si complica ulteriormente. Secondo una ricerca dell’Eige (European Institute for Gender Equality, Istituto europeo per l’uguaglianza di genere) il 13 per cento delle donne disabili dichiara di non essere soddisfatta delle cure sanitarie, contro il 5 per cento di quelle “normodotate”. Le donne, di fatto, sono soggette a una doppia discriminazione: di genere e in quanto persone disabili.
I risultati
Buona parte delle criticità rilevate dalla ricerca riguardano aspetti davvero incresciosi. Qualche esempio? La mancanza di servizi igienici accessibili oppure di un lettino regolabile e/o di un sollevatore. Gli spogliatoi degli ambulatori non sono abbastanza ampi affinché le pazienti in sedia a rotelle possano muoversi liberamente, gli ambienti non sono insonorizzati in modo tale da garantire l’adeguata privacy. E poi l’immancabile, ancora oggi, presenza di barriere architettoniche lungo i percorsi sanitari, una preparazione inadeguata dello staff medico sulle specifiche esigenze delle donne con disabilità.
Bachisio Zolo