Continua il nostro viaggio con protagonista non vedente
Invito al Desiderio 4
Napoli, Frammenti di Città
L’hotel si trova sul Rettifilo, occupa il quarto piano di un bel palazzo storico. Entriamo dal portone massiccio, l’ascensore in legno, con un cancelletto in ferro battuto, sale scricchiolando velocissimo. La camera ha un bel balcone che si apre sul Corso Umberto e le finestre sono incorniciate dal piperno (un’altra pietra grigio-scuro prelevata dal vulcano).
Siamo di nuovo fuori, pronti per una camminata sul basolato. I lampioni disposti lungo il marciapiede sono di marmo scolpito e perciò non sfuggono alla mia esplorazione tattile.
Oggi visiteremo la città in tre. Oltre alla guida Fausto, con me c’è la signora X.
Viaggiare da soli richiede plasticità, che, in questo caso, può esprimersi nella disponibilità all’incontro, alla parziale condivisione di pezzetti di viaggio con persone sconosciute. Bisogna mettere in campo il coraggio di seguire il pungolo di una curiosità antropologica e accettare i rischi conseguenti. Dunque, la mia compagna di viaggio parla con un marcato accento toscano e una voce bassa, roca. Ha figli grandi ed è libera da impegni familiari. La definirei “un tipo”. Fisico asciutto, over 70, smanetta alla grande con l’Iphone. Da ipovedente, porta lenti spesse e per vedere i dettagli tira fuori dalla borsetta un piccolo binocolo. Arrotola sigarette ovunque, per strada, nei musei e nei ristoranti.
Siamo diretti al quartiere Sanità. Prima di entrare nel rione, attraversiamo una piazzetta col mercato chiamata “I Vergini”. Strano questo nome, di solito si dice “Le Vergini”, ma anche qui si nasconde una storia che non so.
Ieri sera in trattoria ho assaggiato i friarielli e adesso li ritrovo qui, su una bancarella, vivi, freschissimi, ancora bagnati di rugiada. Col permesso del fruttivendolo li tocco. Ci sono anche dei pomodorini che somigliano ai datterini, ma terminano con una piccola protuberanza. Vengono coltivati alle pendici del Vesuvio dove i campi sono molto fertili e permettono più raccolti all’anno. Ieri ho toccato le verdure in miniatura realizzate dalle mani degli artigiani per le bancarelle del presepe, oggi le mie dita sfiorano i frutti vivi e freschi della natura. Le immagini mentali del ricordo e l’esperienza del momento si fondono, s’intrecciano in un disegno che si sta formando man mano che mi addentro nella città e nella sua anima.
Ci avviciniamo al rione e scorgiamo una bella chiesa con una grande scalinata appena riaperta dopo un lungo restauro. La chiamano chiesa del Rosatello. Il nome m’ispira, mi fa pensare ad un vinello, ma chissà. In realtà è dedicata alla Madonna del Rosario. Vicino c’è un convento di suore Domenicane. Saliamo le due rampe di scale, entriamo al primo piano, al piano terra c’è altro, forse un magazzino o un negozio, la saracinesca abbassata non mi permette di scoprirlo. Che cosa si potrà mai vendere sotto ad un edificio sacro oltre ai santini? Quel che si sa, è che un tempo anche al piano terra era chiesa.
Girando per la navata, guardando e toccando, abbiamo posto qualche domanda a un signore che ci sembrava un custode e abbiamo saputo che la domenica alle 11 un ordine di preti francesi celebra la messa in latino.
Continuiamo a camminare nei vicoli e nelle piazze, la pochette con documenti, portafoglio e carta di credito stretta sotto l’ascella, il bastoncino bianco nella mano destra come sempre. La giornata è fresca e ventosa, le nuvole vanno e vengono, l’ombrello è a portata di mano.
La guida mi descrive i murales, un’intera facciata di un palazzo è coperta di volti di bambini. Qualche negozio ha dipinto sulla saracinesca una colomba o un arcobaleno. Qua e là nelle aiuole si trovano una panchina colorata, oppure una scultura di Totò o un’altra dedicata ad un bambino vittima della camorra. Con frasi, con versi scritti sui muri, gli abitanti del quartiere esprimono il desiderio di vivere sicuri, di giocare a nascondino nei vicoli, di far rimbalzare la palla sul basolato delle piazzette. I motorini sfrecciano vicino a noi, rumorosi, forse sono vecchi, scassati e truccati. Alcuni, potrebbero appartenere a persone che girano per i loro affari, ma altri saranno sicuramente di osservatori che andranno a riferire della nostra presenza nel quartiere, del nostro modo di andare in giro, di infilarci nei portoni, salire scalinate e toccare colonne, fregi e decorazioni. Nessuno ci ferma, nessuno ci importuna.
Camminando un po’ su e un po’ giù dal marciapiede perché è stretto, passiamo accanto ai “bassi”. Certo non sono più quelli descritti da Matilde Serao, questi hanno un’unica finestra, affacciata sul marciapiede, accanto alla porta e ciò non favorisce una buona areazione. All’interno, un locale fa da cucina e da soggiorno. Dietro c’è la camera, senza finestra, dove si dorme in 2 3 4 5 6….. Il bagno è ricavato sempre qui, nella stessa stanza. Però, anche nei bassi c’è grazia e inventiva: per stendere i panni si mette lo stendino davanti alla casa e poco importa se occupa tutto il marciapiede: il pedone scende. Quando il sole è dall’altra parte, la signora attraversa la strada con lo stendi-biancheria carico di mutande e calzini e lo posiziona di fronte. Qualcuno davanti alla porta mette delle piastrelline per personalizzare il marciapiede. Oppure si costruisce una piccola veranda con i vasi di fiori. Per fare tutto ciò non si chiede né l’autorizzazione in comune, né si rischiano multe.
Proseguendo, incontriamo dei bei negozi, farmacia, profumeria, erboristeria, l’olfatto non mente, nessuna puzza. Entriamo in cortili dai pesanti portoni di legno lavorato come quello del “Palazzo dello Spagnolo” e arriviamo alla nostra meta. (Continua…)
Claudia Consonni collaboratrice IERFOP