Lavoratore con patologia invalidante licenziato per aver superato le 180 giornate di malattia: fa ricorso e lo vince
È successo a L.B., affetto da miastenia gravis, malattia rara ad andamento cronico per la quale non esistono cure risolutive ma solo terapie in grado di tenere sotto controllo i sintomi.
Questi ultimi interessano i muscoli, i quali subiscono un progressivo indebolimento a causa dell’assenza di impulso nervoso il cui passaggio dal cervello è impedito da anticorpi prodotti dall’organismo stesso.
La vicenda
Nel 2011 l’uomo era stato assunto come impiegato da una società che si occupa di analisi ambientali. Nel mese di ottobre del 2020 gli viene diagnosticata la miastenia Gravis,che lo costringerà, due mesi dopo, ad assentarsi dal lavoro.
L’impiegato informa la società della diagnosi e a maggio 2021 il medico curante indica nei certificati medici la dicitura “terapia salvavita”. Tale dicitura avrebbe dovuto essere indicata anche nei certificati precedenti ma, a causa di una svista del medico, non è stato così. L. B. provvede comunque a farlo presente.
Il licenziamento
Nel mese di luglio 2021, l’uomo viene informato del superamento del periodo di comporto (fissato in 180 giorni) e per tale motivo perde il lavoro, salvo domanda di aspettativa non retribuita.
Presenta allora immediatamente la domanda ma il giorno successivo viene comunque licenziato.
Il ricorso
Il sig. B. decide di contestare la legittimità del licenziamento e, come si legge nella sentenza del 18 maggio 2022 del Tribunale di Milano, “ne denuncia la nullità per discriminatorie in quanto intimato nei confronti di persona disabile, ovvero affetto da malattia cronica nei cui confronti le assenze dovute al proprio stato di salute non possono essere computate ai fini del comporto.”
“In sintesi”– prosegue la sentenza – “il computo indistinto di malattie ordinarie e di malattie occasionate dalla condizione invalidante determinerebbe una discriminazione indiretta, in quanto il criterio – apparentemente neutro – comporterebbe un trattamento deteriore per il soggetto disabile inevitabilmente destinato, proprio in ragione della disabilità, ad accumulare un numero di assenze superiori agli altri lavoratori, essendo del tutto irrilevante la circostanza evidenziata dalla società, e cioè il fatto che il ricorrente sia stato assunto in via “ordinaria” e non da categorie protette.”
I riferimenti giudiziari europei
Rifacendosi alla legislazione europea (articolo 2della direttiva comunitaria 2000/78/CE: nel caso di persone portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro, al fine di evitare la discriminazione indiretta in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto è obbligato ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi dell’art. 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione come sottrarre dal calcolo del comporto i giorni di malattia ascrivibili all’handicap) e a una sentenza dello stesso Tribunale (ordinanza n. 9821 del 6.4.2018), il ricorso del signor B. viene accettato. Quindi la società deve reinserirlo in una mansione consona al suo stato di salute e deve risarcirlo dei mesi in cui non ha lavorato a causa del licenziamento.
Roberta Gatto