Ultima puntata dello straordinario e particolare racconto di viaggio
L’Essenza
Conclusione del viaggio a Napoli
Invito al Desiderio – 7
Allora Claudia hai colto l’essenza di questo viaggio?
E voi, persone cieche e ipovedenti, voi accompagnatori, guide turistiche, operatori del settore e voi che siete al di fuori dei temi legati alla disabilità e viaggiate per passione, vi siete mai posti questa domanda?
Tre fischi attraversano l’aria, le porte si chiudono e si parte. La Signora X, dopo aver rullato l’ultima sigaretta sul marciapiede è salita con me sul treno. Viaggeremo insieme fino a Firenze. Ci sediamo l’una di fronte all’altra e, trascorsi pochi secondi, siamo già due perfette sconosciute. Se non ci parliamo, non è per antipatia, anche se tra noi non c’è feeling, ma perché in questo viaggio ho scelto di stare sola.
Davanti a me il muso affusolato del Frecciarossa si è appiattito sulle rotaie e punta a Nord. Dal finestrino sfila il paesaggio, il cielo azzurro, i quartieri della periferia, ma voi sapete che per me tutto quello che sta al di là del vetro è niente.
– E allora che fai? Leggi? Ascolti musica, ti addormenti o preferisci allungare le orecchie e captare frammenti di conversazioni delle persone che ti stanno intorno? –
Qualcuno potrebbe chiedere.
Io risponderei così:
– No, penso al viaggio che si sta concludendo e presto attenzione alle sensazioni che si muovono dentro di me. –
Per questo mi piace stare sola.
Immagino la città appena visitata fatta a strati come una torta. Mi sono divertita ad attraversarla da sopra a sotto e da sotto a sopra, a scoprire l’odore della sua pasta, ad assaggiarne un bocconcino qua e là, a masticarlo piano e poi a lasciarlo sciogliere in bocca lentamente per gustare a fondo il suo sapore e, infine, archiviarlo in qualche angolo della memoria. I friarielli assaporati la sera in una famosa pizzeria e trovati il mattino dopo su una bancarella del quartiere Sanità, raccolti nei Campi Flegrei ancora bagnati di rugiada, sono stati una gioia per i sensi: gusto, olfatto, tatto e l’idea del loro colore si è formata da sé.
Le statuine di terracotta del presepe nelle botteghe di via San Gregorio Armeno sfilano davanti a me come attori sul palco di un teatrino immaginario. Ma ecco che tra loro compare il Monaciello, quello che, insieme al Pozzaro, custodisce le case e i segreti dei loro abitanti. E allora, osservando la scena, penso che una statuina che protegge Gesù dalla jella sarebbe proprio necessaria. Come mai nessuno ci aveva pensato prima? Gli stimoli tattili alimentano la mia fantasia.
Frugo nella borsetta per superare un momento di noia. E’ una mania delle donne quella di mettere le mani nella borsa e cercare non si sa bene che cosa. Prendo il lucidalabbra, adoro il rumore di quando si sfila il cappuccio. Lo passo seguendo il contorno della bocca, insisto al centro e sugli angoli, poi, dopo una smorfia di soddisfazione, chiudo il tubicino con un sonoro click. Tra gli oggetti, più o meno utili contenuti alla rinfusa nella borsa di una signora, ma tutti indispensabili, ne scelgo uno. Lo tengo tra le dita e lo esploro dall’interno della borsa. Lo lascio nel buio, protetto dal tepore della fodera morbida che lo avvolge. Mi piace toccarlo nei minimi particolari, sopra e sotto, dentro e fuori. La sua forma sinuosa e la terracotta attivano in me la potenza del simbolo che rappresenta, poi la storia raccontata dal pozzaro Vincenzo fa il resto.
L’oggetto che accarezzo da dentro la borsetta è la “mummarella”, un’anfora usata dai napoletani per attingere acqua a una fonte termale.
Si credeva che il contatto con la terracotta della mummarella desse all’acqua un sapore particolare e facesse risaltare le sue proprietà curative. Un giorno, però, un uomo politico molto importante, costruì un albergo intorno alla sorgente, sottraendola all’uso pubblico.
Il filo dei pensieri si lega alla materia: dal basolato al tufo, al piperno, alla terracotta, all’acqua, tutto confluisce nel viaggio. Il suo effetto terapeutico si espande dal popolo napoletano a una viaggiatrice solitaria, depositando tra le vibrazioni del Frecciarossa e il rumore cupo delle gallerie i sedimenti di un vago senso di appagamento sul fondo dell’anima.
Che il viaggio possa essere “Cura” non è una novità. Il dottor Freud, cento anni fa, lo consigliava ai suoi futuri pazienti prima di guidarli nei meandri oscuri del percorso psicanalitico. Infatti, il movimento produce un cambiamento, predispone l’accadere di eventi imprevedibili che possono offrire l’occasione per guardare dentro sé stessi da una prospettiva nuova.
Il giallo e il grigio della pietra, il viola, l’arancio e il blu della metropolitana, l’argento delle sculture in resina, il cielo azzurro e grigio come a Milano sono colori per me invisibili che ho toccato analizzando gli oggetti e le superfici più diverse, che ho respirato e immaginato attraversando spazi chiusi e all’aperto. Dunque, che cos’è per una persona nata cieca il colore? E’ solo un aggettivo?
Percorrendo la città sopra e sotto, dentro e fuori, nel passaggio dalla luce delle piazze alla penombra del cimitero delle Fontanelle, l’occhio coglie sfumature di luce e cromatismi differenti. Allo stesso modo, la mano sfiora le diverse granature delle pietre. Il calore del sole accarezza le spalle del viaggiatore e, alternandosi alla frescura, disegna per lui un viale alberato con l’ampiezza della chioma e la densità del fogliame. Il soffio del vento sul viso indica la direzione, porta i profumi dei fiori, delle bancarelle del mercato, dei ristoranti o della folla. Questi sono alcuni esempi di come la persona non vedente raccoglie i dati della percezione non visiva, li analizza e interagisce con l’ambiente.
Ogni viaggiatore sente e vede la città a modo suo, se la racconta e se la dipinge intrecciando foto, cibo locale e souvenir con la suggestione, l’immaginazione e la proiezione di desideri e aspettative personali. Napoli brulicante di vita, abbracciata al suo Vesuvio indolente e sonnacchioso, annoda fili antichi e moderni, sacri e profani. Napoli è originale e generosa. Offre a ciascuno il suo, a tutti qualche cosa da condividere.
Vorrei concludere il racconto di questi frammenti di viaggio, rinnovando a ogni lettore l’invito a far nascere in sé un nuovo desiderio, a darsi una meta e a cercare, quasi da solo o con un piccolo gruppo, la direzione per raggiungerla.
Alla guida di una persona non vedente suggerirei di preparare un trolley speciale, adatto a contenere tempo, pazienza ed energia in abbondanza. Anche un vocabolario ricco è indispensabile perché la parola rappresenta l’architrave della relazione. Il bagaglio sarà pesante, ma potrebbe accadere di esserne ampiamente ripagati. (Fine)
Claudia Consonni collaboratrice Ierfop