Pensionati: il 40 per cento prende meno di mille euro al mese
Il sistema produttivo e l’occupazione sono tornati all’incirca ai livelli del 2019 quando il Covid ancora non aveva provocato sconquassi. Negli ultimi due anni le diseguaglianze sono persino aumentate e questo nonostante il sostanzioso aumento della spesa pubblica che ha evitato divari ancora maggiori garantendo la tenuta della coesione sociale. Per aumentare però le entrate contributive è necessario intervenire con urgenza così da aumentare il numero di lavoratori, la qualità del lavoro e delle retribuzioni. In questo modo si potrà far fronte alla crescita della spesa. Ed è un aspetto inevitabile in una società che progressivamente invecchia sempre più e dove sta per andare in pensione la generazione dei baby boomers, cioè i lavoratori più anziani.
A dire tutto questo è il Rapporto annuale dell’Inps presentato dal presidente Pasquale Tridico alla Camera.
Il costo della pandemia
Nel biennio 2020-21 l’Istituto nazionale della previdenza sociale ha erogato prestazioni aggiuntive legate all’emergenza Covid a 15,7 milioni di persone arrivando a una spesa di circa 60 miliardi. A questi si sono aggiunte le prestazioni ordinarie per 42 milioni di utenti. Eppure, le entrate da contributi nel 2021 sono tornate ai livelli pre-pandemia: ben 236,9 miliardi.
Di contro, la spesa, già enormemente cresciuta nel 2020, è aumentata ancora (+2,1 per cento) arrivando a 384 miliardi. Solo quella per le pensioni (al netto quindi delle prestazioni assistenziali e delle ritenute fiscali) è calcolata nel rapporto (dell’Inps, dati 2020) in 222 miliardi.
Boom di occupati ma calo delle ore lavorate
Nel 2021 il tasso di occupazione è arrivato quasi al 60 per cento registrando, così, un record storico. Ma leggiamo meglio i numeri. I lavoratori iscritti all’Inps (dipendenti e autonomi) hanno raggiunto quota 25,7 milioni. Ma se il calo dell’occupazione del 2020 è stato recuperato, il numero medio di settimane lavorate pro-capite è stato di 42,1 contro le 42,9 settimane del 2019. Quindi, uguali occupati ma con meno ore di lavoro effettuate. Tra gennaio 2020 e febbraio 2022 circa 6,8 milioni di lavoratori sono stati collocati in cassa integrazione. Il 64 per cento risulta ancora dipendente presso la stessa azienda. E gli altri, per la maggior parte, hanno trovato lavoro presso altre imprese.
Disuguaglianze in aumento
La crisi ha aumentato le diseguaglianze. La retribuzione media dei lavoratori dipendenti è stata nel 2021 di 24.100 euro lordi, circa duemila euro al mese: meno dei 24.140 euro medi del 2019 (prima del Covid con un -0,2 per cento).
Se poi andiamo a vedere la retribuzione media delle donne, questa risulta di 20.415 euro, quindi inferiore del 25 per cento rispetto alla media maschile
La povertà lavorativa
E poi c’è ancora un altro dato che stride e dovrebbe preoccupare. In Italia il fenomeno della povertà lavorativa è più marcato che negli altri Stati europei. Secondo Eurostat, nel 2019, l’11,8 per cento dei lavoratori italiani era povero, contro una media europea del 9,2 per cento.
La percentuale di lavoratori sotto la soglia di 9 euro lordi l’ora è vicina al 30 per cento e la percentuale di part-time è del 46 per cento tra le donne: dato, questo, più alto nell’Ue. Il lavoro a termine ha raggiunto il picco storico di oltre 3,2 milioni di lavoratori. La povertà lavorativa è determinata non solo dalla precarietà ma anche dal settore perché risultano lavorativamente poveri il 64,5 per cento degli addetti negli alberghi e ristoranti, a fronte di meno del 5 per cento nel settore finanziario.
Le pensioni
Guardando questi numeri, si arriva a una certezza: chi è povero lavorando sarà povero da pensionato. Nel 2021 l’importo medio mensile dei redditi pensionistici è stato di 1.884 euro lordi per gli uomini e di 1.374 euro per le donne. Il 40 per cento di tutti i pensionati, ovvero 6,4 milioni di persone, ha preso meno di mille euro lordi al mese. Quota che scende al 32 per cento considerando anche le integrazioni al minimo, quattordicesima e maggiorazioni sociali.
Simulazioni pensionistiche con il salario minimo
L’Inps calcola che con 30 anni di contributi versati e un salario di 9 euro lordi l’ora, un lavoratore potrebbe avere una pensione a 65 anni di circa 750 euro. Questo è il risultato del calcolo dell’Inps per il futuro previdenziale della generazione tra il 1965 e il 1980).
Bachisio Zolo