Hikikomori, le statistiche italiane parlano di 120 mila bambini e ragazzi ritirati dalla società senza alcun contatto che non sia il web
In Italia si contano 120 mila giovani “ritirati sociali” ma i numeri reali potrebbero essere molto più alti a causa delle difficoltà sanitarie nazionali
Cosa si intende con il termine “Hikikomori”
Il termine deriva dal giapponese e significa letteralmente “stare in disparte”. Con questo termine, quindi, vengono identificati quanti decidono di ritirarsi dalla vita sociale per un lungo arco di tempo (da alcuni mesi fino a diversi anni). Il tutto rinchiudendosi nella propria camera o abitazione e rifiutando ogni contatto con il mondo esterno. Talvolta anche con i genitori.
Un disagio adolescenziale
Secondo l’Associazione Hikikomori Italia, nel nostro Paese si contano circa 120 mila ragazzi “ritirati sociali”. Il numero delle ragazze coinvolte è in crescita ma il fenomeno è ancora prevalentemente maschile, con un’età media tra i 15 e i 25 anni.
Pur non esistendo fonti ufficiali di rilevazione, per la prima volta di Hikikomori si è parlato nella relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia redatta dal Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il report
Si legge nel report: «poco meno di un quinto degli studenti afferma che, nel corso della sua vita, si è isolato per un tempo significativamente lungo (non considerando il periodo di lockdown dovuto all’emergenza sanitaria da Covid-19). Fra questi, circa un quarto è rimasto isolato per meno di una settimana, il 31 per cento fra una e due settimane e il 21 per cento per uno o due mesi. Il 17 per cento degli studenti ha affermato di essere rimasto isolato volontariamente e che potrebbe avere le caratteristiche per una diagnosi “Hikikomori”».
A livello territoriale emerge come il fenomeno riguarda lo 0,1 per cento degli studenti di regioni del Nord Italia, 0,2 per cento per quelle del Sud e 0,4 per cento nelle regioni del Centro.
Lo studio è stato eseguito da Espad Italia e riguarda la popolazione studentesca che va dai 15 ai 19 anni.
Fenomeno in aumento
Nel libro “Adolescenti che non escono di casa. Non solo Hikikomori” scritto da Stefano Vicari e Maria Pontillo (il primo docente di neuropsichiatria infantile all’Università Cattolica e psicoterapeuta la seconda), viene evidenziato come le richieste di aiuto per problemi legati all’ansia sia progressivamente aumentata: si passa, infatti, dal 15 per cento di richieste nel 2017 per arrivare al 25 per cento nel settembre 2021.
I fattori di rischio
Dal lavoro di Vicari e Pontillo emerge, inoltre, come sia possibile identificare tre fattori di rischio: genetici e neurobiologici, temperamentali, ambientali e sociali.
Ad esempio i figli di genitori che tendono ad avere pochi contatti sociali e temono il giudizio altrui hanno un rischio sei volte maggiore di manifestare difficoltà psicologiche e di ritiro sociale rispetto ai coetanei che hanno genitori con una rete sociale ampia.
Tra i tratti temperamentali emergono timidezza e tendenza a evitare contatti sociali mentre tra i fattori di rischio ambientali si annoverano la crescita in una famiglia conflittuale, l’essere vittima di maltrattamenti o episodi di bullismo e cyberbullismo.
Emergenza sanitaria e conseguenze
Anche se non è possibile fare stime accurate a causa della mancanza di fonti ufficiali di rilevazione si può sostenere come la pandemia non è la causa del fenomeno Hikikomori ma ne ha determinato l’acuirsi. Si pensi all’abbandono delle attività sportive e il calo, nel periodo pandemico, di proposte aggregative.
Segnali allarmanti e la difficoltà nel chiedere aiuto
Nel report si parla di “Hikikomori” o la traduzione letterale “isolamento sociale volontario”, tuttavia, specifica il dottor Crepaldi «non bisogna pensare che “volontario” coincida con il piacere di farlo. Questa parola coincide, invece, con una scelta estrema che la persona prende con grande difficoltà».
Ma ci sono dei campanelli d’allarme? Comportamenti di fuga da occasioni sociali, tristezza e ansia nei giorni che prevedono un’uscita di gruppo, l’isolamento nella propria camera o, nel caso di bambini, la predilezione costante e persistente per giochi individuali possono rappresentare un campanello d’allarme per la possibile comparsa del ritiro sociale volontario.
In questo caso è necessario intervenire tempestivamente per ridurre l’insorgenza di disturbi dell’umore o stati mentali a rischio di psicosi. Si parla di interventi multidisciplinari che coinvolgono diverse figure: dallo psicologo al logopedista, al neuropsichiatra infantile ai genitori e insegnanti.
«Sono rare le richieste da parte dei ragazzi che non hanno il coraggio di chiedere aiuto e sono restii a credere nella società» conclude Crepaldi, «otto richieste di aiuto a settimana vengono dai genitori».
Emanuele Boi