La Carta di Olbia, ovvero come parlare di disabilità

È comunemente indicata come la Carta di Olbia e rappresenta un glossario con le parole da utilizzare quando si fa riferimento a un fatto di cronaca che coinvolga la disabilità, sia essa fisica o intellettiva. Un modo, insomma, per scrivere (soprattutto sui media) nei modi più appropriati evitando espressioni diventate ormai diffuse e che non si dovranno più leggere come “madre coraggio”, “bambini speciali”, “costretti sulla sedia a rotelle”. Si tratta solo di alcuni esempi di esagerazioni tristemente presenti quando si leggono i giornali e in grado di contribuire a creare un immaginario distorto.

Gli obiettivi

La Carta mira quindi a riformare il linguaggio adottato dalle cronache, ma non solo: vuole mettere al centro la persona e i fatti ricordando così ai giornalisti come menzionare la disabilità quando non è inerente con il fatto stesso è eticamente scorretto. No, quindi ai sensazionalismi e tantomeno ai pietismi.

Le persone con disabilità sono appunto persone con una propria identità che esula dal deficit mentre gli avvenimenti che le riguardano devono essere riportati senza mettere a tutti i costi il focus su un falso eroismo o su una visione tragica della vita. No, quindi agli articoli dove si celebrano successi ottenuti da persone con disabilità come se si trattasse di imprese eroiche. Il risultato di queste narrazioni sarebbe, infatti, un accentuare la diversità anche laddove non sia necessario farlo.

Com’è nata la Carta

La Carta di Olbia ha preso vita nel dicembre del 2019 nel Capoluogo gallurese durante una conferenza a cui hanno preso parte l’Ordine dei Giornalisti della Sardegna e Giulia giornaliste.

Ispirata alla convenzione Onu sui diritti della persona con disabilità, ratificata dall’Italia nel 2009, la carta va a colmare un gap normativo del codice deontologico che finora non si era occupato di questa tematica.

Il processo per cambiare le pratiche finora in uso non sarà semplice, ma la carta di Olbia rappresenta certamente un primo, importante passo verso una normalizzazione della cronaca riguardante il mondo della disabilità.

Roberta Gatto

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