Nuovi interventi nella cura della sindrome dell’attenzione degli adolescenti
Sempre più spesso si sente parlare di disturbi dell’attenzione e deficit cognitivi. Nello specifico, con la sigla Adhd si intende il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (in inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder, da cui l’acronimo), un disturbo dell’autocontrollo che si manifesta in età evolutiva.
Nello specifico, si tratta di un problema dello sviluppo neuropsichico che si caratterizza per iperattività, impulsività e incapacità a concentrarsi e si manifesta generalmente prima dei 7 anni di età. Nel mondo, si stima che colpisca circa il 5,3 per cento della popolazione mentre in Italia la percentuale è di poco inferiore, circa il 3 per cento, I dati però, potrebbero non rispecchiare esattamente la realtà.
Caratteristiche della malattia
Sebbene sia una malattia a insorgenza precoce, spesso la diagnosi arriva solo in età adulta, dopo che la persona colpita ha già manifestato tutte le problematiche legate a questo disturbo.
Questo significa, non solo difficoltà a prestare e mantenere l’attenzione, ma anche a organizzare la propria vita e nei casi più gravi la propensione ad atteggiamenti pericolosi che possono sfociare in vere e proprie dipendenze.
Gli interventi terapeutici
L’approccio terapeutico più comune consiste nella prescrizione di farmaci come il metilfenidato, l’atomoxetina e la lisdexamfetamina, che agiscono a livello del sistema nervoso stimolando o inibendo alcuni recettori ormonali responsabili del comportamento e degli stati d’animo.
Di recente, tuttavia, sono stati creati dei nuovi tipi di approccio basati su protocolli di intervento cognitivo comportamentale che mettono il focus sui genitori dei pazienti.
“EmPeCemos”
Si tratta in sostanza di programmi che prevedono la messa in atto di modelli comportamentali, ad esempio attraverso giochi di ruolo, prove a casa o istruzioni pedagogiche, come nel caso del programma “EmPeCemos”. L’obiettivo è modificare l’ambiente in cui vive il bambino per far sì che si creino relazioni sociali soddisfacenti attraverso il coinvolgimento dei genitori.
Un approccio di questo tipo può rivelarsi molto utile, specie in quei casi in cui non sia possibile procedere con la terapia farmacologica, sconsigliata sotto i 5 anni di età.
Roberta Gatto