Dopo la pandemia, sempre più in voga la settimana lavorativa di quattro giorni
Nel mondo della post-pandemia, delle dimissioni di massa e dell’ormai endemica carenza di personale, si sta facendo strada la settimana lavorativa di quattro giorni. Quest’anno sono almeno 18 i Paesi dove decine di imprese la stanno sperimentando.
La scommessa che si sta attuando è quella di lavorare un giorno in meno e a stipendio pieno. Risultati? Diminuisce l’assenteismo e aumenta la produttività. Non solo: l’ambiente ne beneficia grazie alla riduzione di Co2 così come la qualità di vita dei lavoratori mentre le aziende diventerebbero più attrattive per personale qualificato e motivato.
La prima ad adottare la sperimentazione è la Nuova Zelanda
Tra i primi sostenitori della settimana corta si può annoverare l’illustre economista inglese John Maynard Keynes. Nel saggio del 1930, «Possibilità economiche per i nostri nipoti» vedeva l’opportunità «di lavorare solo 15 ore a settimana entro un paio di generazioni». Da allora, la politica ha rispolverato periodicamente l’idea di lavorare meno a parità di retribuzione.
Nel 1956, l’allora vicepresidente degli Usa Richard Nixon dichiarò che la svolta sarebbe arrivata «in un futuro non troppo lontano».
4 Day Week Global
Oggi a rilanciarla concretamente è «4 Day Week Global», la Ong senza scopo di lucro che ha esteso a livello internazionale l’esperimento di «Perpetual Guardian». Si tratta di una società fiduciaria neozelandese con 240 dipendenti che dal 2018 ha adottato con successo la settimana lavorativa di 4 giorni. L’iniziativa prevede che in ogni Paese aderente un gruppo di aziende partecipi a un progetto pilota di 6 mesi basato sul modello «100:80:100»: 100 per cento dello stipendio ai dipendenti che però lavorano l’80 per cento delle ore previste (di solito 32) impegnandosi a raggiungere gli stessi risultati che si conseguirebbero lavorando 5 giorni a settimana.