La Disabilità in Italia: situazione, risorse a disposizione e prospettive

Bachisio Zolo

Partiamo dai numeri: In Italia vi sono più di 3 milioni di cittadini in condizioni di gravi disabilità. Un “popolo” potrebbe dirsi, a sé. Che meriterebbe una legislazione a sé. E infatti, recentemente ce l’ha pure, vista la Legge delega sulle Disabilità del 31 dicembre 2021. Si tratta di una norma con la quale il Parlamento delega il Governo a legiferare sulla base di alcuni obiettivi, tutti meritevoli e tutti importanti. Essi sono il rafforzamento dell’offerta di servizi sociali, la semplificazione dell’accesso ai servizi sociali e sanitari, la riforma delle procedure di accertamento delle disabilità, la promozione di progetti di vita indipendente, la promozione del lavoro di gruppi di esperti in grado di sostenere le persone con disabilità con esigenze multidimensionali. Peccato solo però, che tutti questi bei principi potranno vedere la loro definizione a fine 2024, quando si concluderà l’attuazione della legge delega e poi occorrerà un testo unico sulla disabilità così da porre ordine tra le norme e i fondi. E sì, perché ogni buona legge che si rispetti, poi deve fare i conti con i fondi che si metteranno a disposizione. Ma siccome la disabilità non è un problema che si affronta solo oggi, facciamo allora i conti di come lo si è affrontato finora e come gli altri Stati europei si adoperano. Diciamo subito come il confronto con altri Stati europei diventa impietoso.

Intanto, a oggi, esiste una Legge quadro emanata nel 1992 tuttora in vigore. Il testo della norma delega il Parlamento a legiferare sulla base di finalità praticamente identiche a quelle riproposte pari, pari oggi nella Legge delega.

Guardiamo allora i numeri attuali: la spesa per assistenza e cura disabili, compresa di pensioni e altri sussidi è pari al 1,7 per cento del Pil. Tanto, poco? In Norvegia e Danimarca, capilista in questa classifica, si spende il 4,5 per cento, in Svezia il 3,4 per cento, in Spagna e Germania il 2,5 per cento, in Francia il 2 per cento. Per non dire che, nel nostro Paese, i pochi fondi destinati alle persone disabili sono gestiti in un’ottica quasi totalmente assistenzialista.

Ma guardiamo più specificatamente i numeri, quelli che non “mentono” mai. E guardiamo gli importi delle pensioni per gli invalidi civili totali: il loro importo è di 313,91 euro (se si mantiene un reddito annuo non superiore ai 17.920 euro). A questa provvidenza va aggiunta l’indennità di accompagnamento di 527,16 euro. Esistono pure altre forme di sussidio erogate dalle Regioni, ma non certo in grado di modificare la deprecabile condizione economica in cui lo Stato italiano lascia i cittadini disabili.

I numeri indicati poco sopra non consolano e non eccitano. Se guardiamo però alla spesa destinata alle politiche del lavoro, il quadro diventa ancora più deprimente: appena lo 0,5 per cento.

Un triste esempio è la Legge n. 68/1999 dove si prevede l’obbligo, per le imprese con almeno 15 dipendenti, di assumere una percentuale di lavoratori disabili. Le aziende vengono in parte ricompensate dal Fondo per il diritto al lavoro dei disabili (fissato per il 2022 a circa 75 milioni, meno dello 0,01 del Pil). Tutto bello, tutto giusto, se non si registrasse il tasso di inadempienza alla legge stimato intorno a 40 per cento.

Le conseguenze? Il tasso di occupazione delle persone con disabilità era del 37,5 per cento nel 2002 e si trova oggi a essere leggermente superiore al 30 per cento. Situazione peggiore riguarda le donne dove l’occupazione raggiunge appena il 19 per cento contro il 46 per cento degli uomini. Il tasso medio europeo? Superiore al 50 per cento.

In Italia

Nel nostro Paese esiste dunque un mondo di 3 milioni di cittadini svantaggiati costretti a vivere di miserrime pensioni e dell’impegno delle loro famiglie. Quando ci sono. Al peggio, viene affidato a istituti di assistenza. Tra questi, circa 1,5 milioni sono persone che combinano differentemente difficoltà sensoriali, motorie, dolori neuropatici e hanno difficoltà nella gestione di una vita autonoma. Una relazione redatta dal Ministero Del lavoro e delle politiche sociali stima come circa 800mila sarebbero collocabili e alla ricerca di un lavoro. Quindi versano in una condizione svantaggiata e assistiti penosamente a livello economico e pure disoccupati.

In Europa

L’orientamento dei maggiori Paesi europei sul tema dell’assistenza sociale è quello di attivare forme assicurative pubbliche e private. L’erogazione e l’ammontare della prestazione sono decise sulla base di una valutazione sul caso singolo. Un esempio interessante potrebbe essere la legislazione tedesca. Per la questione delle politiche attive del lavoro è interessante invece osservare i virtuosi sistemi di protezione dei Paesi scandinavi, i quali combinano una alta flessibilità del mercato del lavoro e un valido sistema formativo e di ammortizzatori sociali. Flessibilità, protezione e formazione.

La disabilità

Bisogna certamente intendersi sul termine. Esso esprime infiniti significati; si adatta tanto a un bambino nato con la sindrome di Down, quanto a un ultra ottantenne con lesioni cerebrali post ictus. È una categoria che aggrega un mondo di esistenze eccezionali, incomparabili tra loro. Fuori da ogni dubbio, una persona con disabilità guarda al mondo attraverso una quotidiana convivenza con la sofferenza, propria e di coloro che li amano. Molti continuano a credere nella vita, non si arrendono ai tormenti del dolore e si propongono di combattere.

Che fare

La soluzione più semplice sarebbe quella di aumentare l’importo delle pensioni, renderle proporzionali al costo della vita e alle esigenze particolari della persona disabile. Detto questo, è il caso di abbandonare subito questa ipotesi di soluzione vista la situazione contributiva in Italia. Nel nostro Paese, infatti, il gettito contributivo annuo non copre la spesa pensionistica e ogni anno lo Stato, per coprire questo buco, trasferisce all’Inps circa 130 miliardi di euro. È vero, a ogni tornata elettorale assistiamo all’annuncio seguito dalla promessa di un aumento e pure consistente. Ma la realtà dei fatti fa “slittare” ogni volta il mantenimento della promessa se non si vuole mandare viepiù a carte quarant’otto i conti dello Stato.

Creare le opportunità

Partiamo da un principio sul quale non si può che convenire e cioè che si debba garantire a ognuno le medesime opportunità al fine di una libera realizzazione della propria esistenza. Concordando su questo principio, allora si devono creare le condizioni affinché le persone con disabilità possano contribuire alla crescita economica e sociale del Paese. Occorre quindi creare le condizioni migliori poiché possano realizzare i propri desideri mettendo in campo le tante abilità che possiedono. Tradotto in modo più spiccio: bisogna uscire da una logica esclusivamente assistenzialistica, paternalista e pietista. E allora, basta considerare le persone con disabilità come malati da assistere. Sviluppiamo tutti assieme il sistema per consentire loro di sviluppare le loro abilità e di inserirsi nel mondo produttivo e quindi sociale in modo integrato, paritario. Anche se parlando così ci viene in mente il titolo “Non è un paese per vecchi”, un film americano del 2007 di genere Crime/Drammatico/Thriller diretto da Joel Coen. Ecco, l’Italia non ci sembra un Paese per disabili.

Bachisio Zolo

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