Le professioni del futuro? Dalla transizione verde a quella digitale, ecco i lavori in arrivo entro il 2027
Secondo un rapporto del Wef ( World economic Forum) di Ginevra, circa il 23 per cento delle occupazioni cambierà entro i prossimi cinque anni con quasi 69 milioni di posti di lavoro creati. C’è però anche un rovescio della medaglia.
La rivoluzione digitale
Lo sviluppo della tecnologia permetterà la creazione di nuovi posti di lavoro nel settore delle intelligenze artificiali, della security e dei big data. Tuttavia, l’avvento del digitale mette seriamente a rischio lavori più tradizionali come l’impiegato, il cassiere e il venditore porta a porta.
Non solo: entro il 2027 perderanno il posto circa 83 milioni di persone, con un calo dell’occupazione del 2 er cento.
I dati forniti dal Wef si basano su circa 800 aziende (per un totale di più di 11 milioni di lavoratori) appartenenti a 27 settori differenti.
Algoritmi e automazione
Un modo per contrastare questo scenario catastrofico però esiste e si chiama formazione: infatti, molti lavoratori potrebbero essere reimpiegati per andare a coprire la nuova domanda di mercato. Il progresso tecnologico inciderà principalmente sulle mansioni di ufficio che verranno automatizzate, rendendo quindi necessario disporre di personale qualificato per gestire gli algoritmi. Il che si tradurrà nella necessità di formare i propri dipendenti.
Sei lavoratori su dieci necessiteranno di formazione nei prossimi cinque anni e in media ciascun lavoratore dovrà aggiornare quasi metà delle proprie competenze.
Per l’Italia questo potrebbe rappresentare un problema dato che soltanto metà dei lavoratori dispone attualmente della possibilità di formarsi sul posto di lavoro.
La transizione ecologica
Secondo le imprese italiane interpellate, l’impatto della transizione ecologica e della digitalizzazione sulla creazione di nuovi posti di lavoro potrebbe essere addirittura superiore alla media. Dai dati, tuttavia, emerge come le aziende italiane sono più interessate alle competenze trasversali dei propri dipendenti (come resilienza e versatilità) rispetto alle competenze tecniche, indispensabili per il nuovo scenario occupazionale e si dimostrano poco propense a fare formazione nell’ottica di trattenere i talenti.
A questo, infine, va ad aggiungersi un notevole ritardo da parte delle università nel fornire laureati in materie scientifiche, prospettando un quadro tutt’altro che roseo per il futuro dell’occupazione in Italia.
Roberta Gatto