La situazione sanitaria nel nostro Paese

Lo specchio della situazione sanitaria nel nostro Paese lo dà chiaramente (e tristemente) le sezioni territoriali del Tribunale per i diritti del malato. Nel corso del 2022, 14mila cittadini hanno contribuito a comporre il Rapporto “Urgenza Sanità” redatto da Cittadinanzattiva successivamente presentato al ministero della Salute. Il quadro? Davvero sconfortante. Si possono attendere 60 giorni per una prima visita cardiologica con codice di priorità «B», cioè da fare entro 10 giorni secondo l’indicazione clinica data dal dottore sulla ricetta del Servizio sanitario nazionale. Altri 60 giorni di attesa per una visita ginecologica con priorità U (urgente), cioè da eseguire entro 72 ore. Ma si può arrivare persino a 150 giorni di attesa per fare una mammografia prescritta con codice «B», quindi da fare entro 10 giorni.

C’è persino chi ha aspettato tre mesi prima di essere operata per un tumore all’utero (l’intervento, in classe A, andava fatto entro 30 giorni). E poi, tempi d’attesa estenuanti al Pronto soccorso, con pazienti anche anziani costretti a rimanere ore e addirittura giorni, sulle barelle nei corridoi, aspettando che si liberi il posto letto per il ricovero.

In molte aree del Paese non si riesce a trovare il medico di medicina generale che sostituisca il dottore andato in pensione.

Accesso difficile alle prestazioni

L’accesso alle prestazioni sanitarie è poi l’ambito più critico per i cittadini che si sono rivolti a Cittadinanzattiva. Il 2022 doveva essere l’anno della ripresa dopo due anni di pandemia e invece, come evidenzia il Rapporto, la quasi totalità delle Regioni non ha recuperato le prestazioni in ritardo e non tutte hanno utilizzato il fondo di 500 milioni stanziati nel 2022 per il recupero delle liste d’attesa. In particolare, non è stato utilizzato circa il 33 per cento delle risorse, per un totale di 165 milioni. E i cittadini si sono visti negare il diritto ad accedere nei tempi giusti alle prestazioni sanitarie che devono essere garantite dal Servizio sanitario.

Liste bloccate

Oltre al mancato rispetto dei tempi nell’accesso alle cure, nonostante sia in vigore (e non ancora aggiornato) il «Piano nazionale di governo delle liste di attesa 2019-2021», molti cittadini lamentano la difficoltà a contattare il Cup e l’impossibilità a prenotare le prestazioni a causa delle liste bloccate (vietate dalla legge n. 266/2005). Capita anche che i pazienti siano indirizzati dagli stessi operatori del Cup a effettuare la prestazione in intramoenia o privatamente, nonostante una legge dello Stato (Dlgs. 124/1998) ) stabilisca il diritto del cittadino (su sua richiesta) ad avere la prestazione in regime di intramoenia ma a carico del Servizio sanitario nel caso l’Asl non sia in grado di rispettare i termini garantiti per legge.

Rinuncia alle cure per i costi elevati

Nel 2022 aumenta la quota di persone che dichiara di aver pagato interamente a proprie spese sia per le visite specialistiche (dal 37 per cento nel 2019 al 41,8 per cento nel 2022) sia per gli accertamenti diagnostici (dal 23 per cento al 27,6 per cento).

I cittadini lamentano anche i costi elevati che hanno dovuto sostenere per visite specialistiche, esami diagnostici in intramoenia o private poiché non sono riusciti ad accedere alle prestazioni del Servizio sanitario. Chi non può permettersi di pagare, invece, rinuncia a curarsi.

Dalle indagini dell’Istat risulta come nel 2022 c’è stata una riduzione della percentuale di persone che hanno effettuato visite specialistiche (dal 42,3 per cento nel 2019 al 38,8 per cento nel 2022) o accertamenti diagnostici (dal 35,7 per cento al 32 per cento).

Pronto soccorso allo stremo

Un’altra area particolarmente critica è quella del Pronto Soccorso, in particolare tra le segnalazioni più ricorrenti dei pazienti ci sono: eccessiva attesa per effettuare o completare il triage, pronto soccorso affollato, carente informazione al paziente o al familiare, mancanza di posti letto in reparto per il ricovero, carenza del personale medico, pazienti in sedia a rotelle o in barella lungo i corridoi per ore/giorni.

Screening oncologici in calo

Riguardo ai programmi di screening oncologici gratuiti per alcune fasce della popolazione, sono calati nel 2020 gli inviti da parte delle Asl, in particolare del 29 per cento per lo screening mammografico, del 24 per cento per lo screening del colon retto e della cervice uterina. Segnalate anche difficoltà nel prenotarli autonomamente.
Quanto ai vaccini, aumentano le coperture per morbillo, varicella, meningococco C, ma diminuisce nella stagione 2021-22 la copertura per il vaccino antinfluenzale soprattutto negli anziani (ben 7 punti percentuali in meno rispetto alla stagione precedente).

Cure primarie e assistenza di prossimità

Rispetto all’assistenza di prossimità i cittadini denunciano grandi ritardi nella presa in carico da parte delle strutture presenti sul territorio e, nei casi più estremi, una totale assenza dei servizi socio-assistenziali che dovrebbero attivarsi, in particolare in questi ambiti: RSA/Lungodegenza e altre strutture residenziali, salute mentale, assistenza domiciliare integrata (Adi), assistenza riabilitativa ambulatoriale e domiciliare.
Professionisti sanitari vittime due volte della pandemia

In base ai dati di un’indagine che ha coinvolto 10mila operatori sanitari appartenenti a venti categorie professionali, risulta come oltre il 46 per cento afferma di essere soddisfatto del proprio percorso professionale, ma non altrettanto del proprio ambiente di lavoro che stimola poco o niente la realizzazione personale e la crescita professionale. Oltre il 40 per cento dei professionisti dichiara di avere carichi di lavoro insostenibili e uno su tre non riesce per nulla a bilanciare i tempi lavorativi con quelli della vita privata. E sono vittime due volte della pandemia perché bersaglio privilegiato della esasperazione collettiva: il 31,6 per cento denuncia di essere stato vittima, negli ultimi tre anni, di aggressione (verbale o fisica) da parte degli utenti, il 20,7 per cento da parte di un proprio superiore e il 18,4 per cento da parte di colleghi. Il 65,9 per cento degli intervistati lamenta l’assenza nei luoghi di lavoro di un punto di ascolto psicologico.

Bachisio Zolo

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