Nuove speranze per la degenerazione maculare legata all’età
La degenerazione maculare legata all’età rappresenta un’importante emergenza con cui gli esperti dovranno confrontarsi sempre più spesso nei prossimi anni. Attualmente, la patologia riguarda più di un milione di persone nel nostro Paese con conseguenze importanti sulla qualità della vita.
Tuttavia, il futuro sembra portare novità promettenti grazie a nuovi farmaci e a innovative strategie di intervento. Questi mezzi saranno esaminati nel corso del secondo Congresso Nazionale della Società Italiana di Scienze Oftalmologiche.
La sfida della maculopatia
Questa patologia (che interessa la macula dell’occhio) compromette significativamente la qualità di vita dei pazienti e nei paesi occidentali rappresenta la causa più comune di ipovisione e disabilità visiva dopo i 50 anni. Esistono due forme di maculopatia: la forma “secca” e la forma umida o essudativa: la forma secca rappresenta circa il 90 per cento di tutte le forme di questa patologia. Essa è caratterizzata dalla formazione di depositi giallastri sotto la macula, causando così atrofia del tessuto retinico e progressiva compromissione visiva. La forma umida, invece, è causata dalla crescita anomala di vasi sotto la macula e causa spesso una perdita repentina della vista. Fino a qualche anno fa, la maculopatia umida non era considerata curabile, ma recenti sviluppi nei trattamenti hanno permesso di rallentarne il decorso.
Nuovi farmaci e strategie di trattamento
Gli esperti stanno lavorando per sviluppare farmaci più efficaci nel ritardare lo sviluppo della malattia e nel contrastare anche gli altri fattori coinvolti. Inoltre, si stanno studiando nuove strategie di trattamento in grado di ridurre la necessità e la frequenza di somministrazioni intravitreali.
Tra le novità in arrivo c’è l’approvazione imminente del farmaco Pegcetacoplan: iniettato nell’occhio, inattiva il meccanismo di infiammazione responsabile della degenerazione fotorecettoriale nelle forme avanzate di maculopatia secca. Questo farmaco, spiegano gli esperti, potrebbe rallentare l’evoluzione della malattia senza però tuttavia migliorare la capacità visiva.
Per quanto riguarda la forma umida, attualmente si utilizzano terapie anti-Vegf consistenti in iniezioni intravitreali di farmaci in grado di contrastare la crescita dei neovasi nella regione maculare. Sono però in arrivo terapie sempre più potenti e a lunga durata di azione. Si tratta dell’anticorpo faricimab, in grado di agire sia come anti-Vegf, sia come anti-angipoietina-2. Questo nuovo farmaco consentirà di allungare gli intervalli di trattamento e ridurre il numero di iniezioni necessarie, fino a questo momento somministrate una volta al mese.
Oltre ai trattamenti anti-Vegf attualmente in uso, si sta lavorando su un promettente approccio per coinvolgere l’utilizzo di serbatoi oculari contenenti ranibizumab, un anticorpo monoclonale anti-Vegf.
La nuova terapia prevede l’impianto chirurgico di piccoli serbatoi ricaricabili in grado di rilasciare gradualmente piccole quantità di ranibizumab nella parete dell’occhio, consentendo così un trattamento continuo nel corso del tempo. In questo modo, l’intervallo tra una somministrazione e l’altra si ridurrebbe significativamente, passando a una istillazione ogni sei mesi semplicemente ricaricando il serbatoio, con conseguente diminuzione dei rischi e dei costi.
Roberta Gatto