Donne con disabilità e violentate dimenticate dalle istituzioni
La conferma arriva dal Dipartimento per le Pari Opportunità della presidenza del Consiglio: le donne con disabilità vengono escluse dalle azioni a contrasto della violenza di genere. Cosa vuol dire? Che manca ogni riferimento alle donne con disabilità rispetto alla raccolta dei dati disaggregati sulla violenza di genere, riferita unicamente alle donne rifugiate o richiedenti asilo.
La pubblicazione della Mappatura 1522 avvenuta alcune settimane fa riguardante la rilevazione dei centri antiviolenza italiani riferita ai Cav e le case rifugio (quelle che nel territorio della Penisola garantiscono accoglienza e supporto alle donne che hanno subìto violenza) manca totalmente di qualsiasi riferimento a donne disabili. A sottolineare questa preoccupante statistica è lo studio elaborato dall’associazione Differenza Donna, dal numero 1522 riguardante il numero antiviolenza e stalking nazionale, così come dall’Istat. Vengono, insomma, dimenticate le donne con disabilità se si guarda alla capacità dei centri antiviolenza (Cav) di accoglierle, farsi carico dei loro bisogni e rispondere alle istanze legate alla loro disabilità.
Perché questa lacuna e cosa significa? Intanto, il non avere questi dati statistici denota non avere la giusta preparazione. Preparazione alla relazione con il mondo della disabilità. Eppure, la mancanza di dati statistici non ci induce certo a considerare come il fenomeno della violenza sulle persone disabili le escluda da questo deprecabile atto.
Chiamando il 1522 non c’è alcun riferimento ai bisogni comunicativi delle donne con disabilità sensoriale o con difficoltà di relazione.
Lo stesso istituto dell’Istat, lo scorso maggio, ha diffuso il rapporto di ricerca su “Gli accessi al pronto soccorso e i ricoveri ospedalieri delle donne vittime di violenza”. Anche in questo caso non c’è alcun accenno verso donne con disabilità tra i dati disaggregati. Forse che ciò che non viene nominato o registrato, non esiste?
Forse che le donne con disabilità, invece, non vengono ritenute oggetto di violenza perché intrinsecamente non donne, ma soggetti angelicati considerati unicamente in base al loro deficit?
Di contro, i dati emersi dal progetto Vera (Violenza Emergenza Riconoscimento e Sensibilizzazione) promosso dalla Fish, Federazione italiana per il superamento dell’handicap così come da Differenza donna hanno mostrato invece numeri sommersi che necessiterebbero di maggior attenzione.
Le donne con gravi limitazioni, che hanno subìto violenze fisiche o sessuali, sono infatti il 36 per cento: una percentuale più alta del 30 per cento di quelle senza alcuna disabilità. Il 10 per cento è stata vittima di stupro contro il 4,7 per cento delle donne non disabili.
Esiste la Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica ratificata dall’Italia con la Legge 77/2013) dove da anni si è più volte raccomandato (con continui richiami) l’inserimento della disabilità tra i criteri di analisi e indirizzo delle politiche a contrasto della violenza di genere.
La stessa “Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità” riconosce come le donne e le minori con disabilità siano soggette a discriminazioni multiple e raccomanda l’adozione di misure per garantire il pieno e uguale godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali da parte delle donne e delle minori con disabilità. Misure in gran parte disattese perché, appunto, mancano i dati che le rilevano.
Bachisio Zolo