Videogiochi per non vedenti: ecco come funzionano
Proprio in questi giorni sto giocando a “The Last of Us – Part2”, il videogioco da cui è stata tratta la recente serie tv prodotta dalla Hbo e trasmessa da Sky. Si tratta di un gioco action – adventure distribuito da Sony e pluripremiato, ambientato in un futuro post-apocalittico in cui una pandemia ha trasformato le persone in zombie. Il giocatore veste i panni alternativamente di Joel e Ellie, un contrabbandiere e una ragazzina, con quest’ultima che sembra essere immune al contagio. Il mondo in cui ci si muove in questo secondo capitolo è principalmente una Seattle devastata dalla pandemia, in cui chi non è stato infettato deve lottare non solo contro gli infetti, ma anche e soprattutto con altri esseri umani.
Giocare in autonomia
La novità di questo gioco è che si tratta del primo titolo tripla A (prodotto e distribuito da un editore di grandi dimensioni) accessibile per persone con disabilità visiva.
E in effetti, per essere un primo tentativo in tal senso, non è affatto male.
Una voce sintetica guida l’utente nei vari menù e fornisce suggerimenti di gioco; la qualità della sintesi italiana non è elevata, ma fa quello che deve. Essendo un gioco in terza persona nel quale ci si deve muovere parecchio (correre, strisciare, arrampicarsi, saltare e combattere), farlo senza vedere potrebbe risultare difficile se non addirittura impossibile. Per ovviare a questo problema, gli sviluppatori hanno quindi implementato un sistema che permette di direzionare il personaggio: basta premere la levetta sinistra del controller e il protagonista si “rimette in posizione” nello spazio.
Grazie a una serie di feedback sonori, poi, è possibile trovare oggetti, individuare nemici, comprendere quale azione si debba compiere e quale tasto si debba premere.
Accessibilità completa?
Tuttavia, il videogioco non descrive ciò che sta accadendo, né gli scenari che lo compongono. È possibile farsi un’idea attraverso i dialoghi, ma senza la descrizione di questi elementi gran parte dell’esperienza di gioco viene a mancare. Io che sono non vedente al 100 per cento, ho ovviato giocando con il mio compagno che fa le veci della sintesi vocale, ma se fossi stata da sola? C’è da dire inoltre che non sempre l’accessibilità funziona benissimo e mi sono trovata a dovergli lasciare il controller per eseguire alcune azioni o mettere il gioco in pausa per chiedergli cosa stesse succedendo.
Tuttavia, il gioco resta assolutamente godibile e poter giocare in autonomia è un sogno che si è avverato dopo tanti anni di attesa. Per me, cresciuta con i videogiochi, è stata una grossa rinuncia fino a ora, una rinuncia che mi è pesata non poco: infatti, per quanto ci sia ancora chi considera i videogame diseducativi o una perdita di tempo, l’esperienza videoludica consente di migliorare le capacità cognitive, tanto che di recente i videogame sono entrati a far parte degli strumenti educativi e terapeutici utilizzati da psicologi ed educatori.
Non sappiamo se a questo titolo ne seguiranno altri; sembra però che il mercato si stia aprendo all’accessibilità e, complice anche l’interesse dimostrato dalla community dei giocatori con disabilità visiva, presto forse potremo tornare a giocare senza barriere.
Roberta Gatto