Il farmaco Strimvelis? Lo produce ora Telethon
Sarà il primo farmaco scoperto, sviluppato e prodotto da una associazione non profit facendo così diventare Telethon un modello. E questa prima volta potrà essere bissata quando ci sarà bisogno di assicurare l’approvvigionamento di farmaci «orfani», per pochi al mondo, in assenza dell’impegno delle aziende. Il farmaco in questione è lo Strimvelis, fino al 2022 commercializzato da Orchard Therapeutics alla quale la multinazionale Gsk aveva trasferito il suo portafoglio di farmaci per le malattie rare.
Tutto era cominciato nel settembre del 2000 quando Salsabil, una bimba palestinese viene colpita da una malattia rara, l’Ada Scid. Si tratta di un forma di immunodeficienza che non concede futuro perché anche un semplice raffreddore può uccidere visto come le difese immunitarie sono compromesse da un gene malfunzionante. In pratica, rende fragili come bolle.
Una squadra di medici del San Raffaele-Tiget, centro di ricerca e cura di Telethon, si imbarca verso Gerusalemme per portare il salvavita. È la terapia genica sviluppata contro questa rarissima malattia, fino ad allora irrisolta. Il gene difettoso del paziente viene estratto dal midollo, “riparato”, coltivato e reinfuso così da sostituire quelli dannosi. Si tratta di una cura personalizzata, alternativa al trapianto di midollo donato dai genitori, se compatibile.
Cosa succede? Salsabil guarisce e con lei altri 45 bambini di 20 Paesi così trattati al San Raffaele di Milano, unico centro autorizzato al mondo, con quello che dopo la sperimentazione di successo, diventerà nel 2016 un vero farmaco, lo Strimvelis.
Sarà la stessa officina che finora ha prodotto il farmaco a garantirne la fornitura su commissione di Telethon che si impegna a sostenere le spese. Strimvelis è rimborsata dal sistema sanitario, circa 600 mila euro a infusione. Gli altri costi verranno coperti grazie a fondi raccolti attraverso la storica maratona Rai e col contributo di sponsor fedeli con il 75 per cento di questi soldi investito nella ricerca.
L’azienda farmaceutica che la produceva prima non l’ha considerata più remunerativa e così aveva abbandonato la produzione rischiando così di non garantire più le cure ai piccoli affetti dalla malattia.