Sei un operaio? Campi di meno rispetto un dirigente
Un operaio ha un’aspettativa di vita di 5 anni inferiore a quella di un dirigente. È uno dei dati che emerge dal Rapporto annuale dell’Inps appena presentato alla Camera dei Deputati.
Nel Rapporto si legge come «un ex-lavoratore dipendente, con un reddito coniugale nella fascia più bassa della distribuzione, ha un’aspettativa di vita a 67 anni, quasi 5 anni inferiore rispetto a quella di un ex-contribuente al Fondo Inpdai». Il fondo Inpdai è quello previdenziale dei lavoratori dirigenti, o un ex contribuente volo o telefonici «con reddito nella fascia più alta della distribuzione. Tali differenze tra le donne sono meno pronunciate, ma comunque rilevanti».
E poi, «la presenza di differenze così significative è problematica dal punto di vista dell’equità e anche della solidarietà» spiega il rapporto, «in quanto l’attuale sistema previdenziale applica al montante contributivo un tasso di trasformazione indifferenziato che presuppone speranza di vita indifferenziata».
L’aspettativa di vita varia in modo significativo da Nord a Sud: «un residente in Campania nel primo quinto della distribuzione del reddito ha una speranza di vita di quasi 4 anni inferiore a uno residente in Trentino-Alto Adige con reddito nel quinto più alto».
Dimissioni volontarie in aumento
Si registra anche l’aumento nel 2022 delle dimissioni volontarie (+26 per cento rispetto al 2019). Dall’Inps spiegano però come questo dato non è da leggere come un ritiro dal mercato del lavoro, ma bensì come un’aumentata mobilità, alla ricerca di migliori condizioni lavorative. Si temeva un’ ondata di licenziamenti nel post pandemia e invece questa non si è verificata visto come la Naspi, così come gli altri ammortizzatori sociali (quali la malattia e Cassa integrazione guadagni) hanno svolto un ruolo ordinario di supporto del lavoratore in periodi temporanei di inattività.
Occupazione e invecchiamento
L’occupazione in Italia è al massimo storico con il 61 per cento, ma permangono alcune criticità derivanti dall’invecchiamento della popolazione, dal persistente divario territoriale tra Nord e Sud, nonché dalla divaricazione tra lavoro dipendente, in aumento, e lavoro autonomo, in diminuzione.
I principali indicatori del mercato del lavoro italiano, seppur migliorati rispetto al passato, rimangono molto al di sotto delle medie dei Paesi dell’Unione Europea o di paesi come Francia e Germania.
Differenza compensi per genere
La spesa complessiva riguardo le pensioni per l’Inps nel 2022 è stata di 322 miliardi di euro. Di questi, il 56 per cento è andato agli uomini, che percepiscono assegni del 36 per cento superiori a quelli delle donne. Un divario dovuto alle carriere intermittenti delle lavoratrici e alle retribuzioni che per le donne continuano a essere mediamente più basse: 1.932 euro contro 1.416 euro. Nel 2022 le nuove pensioni sono state un milione e mezzo, calo del 3,1 per cento. L’età media di uscita delle donne è superiore a quella degli uomini: 64,7 anni contro 64,2. Nel 2012 era il contrario: 62 anni per gli uomini e 61,3 per le donne.
Inflazione ed effetti
Secondo l’Inps, l’aumento dei prezzi ha inciso sul potere d’acquisto delle famiglie in modo non omogeneo. Sulla base dei dati Istat, l’inflazione cumulata tra il 2018 e il 2022 sperimentata dalle famiglie del primo quinto della distribuzione della spesa sfiora il 15 per cento, ben cinque punti percentuali in più dell’inflazione sperimentata dalle famiglie dell’ultimo quinto. Le famiglie più colpite dall’impennata dell’inflazione nel 2022 sono quelle dei pensionati, specialmente quelle appartenenti ai due quinti di spesa più poveri, che perdono tra il 2018 e il 2022 il 10,6 per cento del reddito reale (perdita oltre dieci volte maggiore delle famiglie con solo redditi da lavoro). Fortemente colpite risultano anche le famiglie di pensionati dei quinti più ricchi, con una perdita del reddito reale pari al 7,5 per cento.