“Cecità funzionale” in aumento. Le cause? Ansia e disagio psicologico
Lo scenario socio-sanitario affrontato negli ultimi anni ha messo a dura prova l’equilibrio psicologico della popolazione. Questo ha portato a un aumento generale di casi legati alla sfera mentale con l’incremento anche di un disturbo particolarissimo della capacità visiva che va sotto il nome di “Cecità funzionale”. A confermarlo è uno studio realizzato dagli specialisti dell’Ospedale San Giuseppe MultiMedica di Milano e pubblicato in occasione della Giornata mondiale della vista, il 12 ottobre 2023.
La ricerca
Nel report, gli esperti sottolineano come i pazienti con «perdita visiva funzionale» o «cecità funzionale», nel 2023 siano più che raddoppiati rispetto al 2019. I dati sono stati raccolti confrontando i pazienti seguiti negli ambulatori di Oftalmologia dell’Ospedale San Giuseppe prima della pandemia (da gennaio a giugno 2019) con quelli seguiti da gennaio a giugno 2023, con risultati piuttosto allarmanti.
Dal lavoro è emerso infatti come, su un totale di circa 3.600 soggetti visitati, i casi di perdita visiva funzionale siano stati 144 nel pre-pandemia, mentre nell’ultimo anno sono saliti a quota 326.
Un disagio giovanile
È interessante notare come, in entrambi i periodi esaminati, oltre l’80 per cento delle diagnosi riguardasse minori.
«Se escludiamo quei soggetti che fingono intenzionalmente il sintomo (come i bambini che, per emulare il fratello o il compagno di classe, vorrebbero mettere gli occhiali anche se non ne hanno bisogno) e che il medico “smaschera” facilmente, resta una fetta consistente di pazienti affetti da un disturbo di conversione» dichiara Andrea Lembo, oftalmologo dell’Ospedale San Giuseppe e autore dello studio. «Si tratta di una forma di somatizzazione» continua Lembo, «in cui un disagio psicologico viene involontariamente proiettato dal soggetto in un sintomo fisico, un po’ come quei bambini a cui viene il mal di pancia perché sono in ansia per la verifica a scuola». In questo caso, il disagio si manifesta sotto forma di difficoltà visiva, come per esempio nel vedere la lavagna, appannamento, bruciore oculare, cefalea, riduzione del campo visivo e altri disturbi legati alla vista. L’aumento di questi casi, riscontrato negli ultimi mesi, può essere in qualche modo correlato alla pandemia da Covid per i profondi cambiamenti psicosociali che quest’ultima ha portato con sé.
Le “terapie”
La cura per questi disturbi richiede un’attenta valutazione e consiste innanzitutto nel rassicurare i pazienti. «Rassicurare non significa sottovalutare o sminuire quello che riferiscono i pazienti» sottolinea ancora Andrea Lembo, «ma aiutarli a individuare strategie efficaci per attenuare i sintomi. Intendo suggerimenti anche molto semplici per i bambini in età scolare, come guardare 30 secondi fuori dalla finestra per non sovraccaricare l’accomodazione dell’occhio in un videoterminalista o chiudere gli occhi 5 secondi per farli riposare e capire se le immagini della lavagna tornano nitide». Si può anche sfruttare l’effetto placebo. «Nei pazienti che continuavano a riferire un certo sintomo, soprattutto bambini» ribadisce ancora Lembo, «prima di procedere con una risonanza magnetica, abbiamo provato a dare occhiali con lenti neutre. In diversi casi la strategia ha funzionato, evidentemente perché il bambino si è sentito in qualche modo “protetto”. In altri casi servono ulteriori accertamenti, come di fronte a cefalee persistenti, per le quali una seconda opinione in Neurologia è senza dubbio una scelta appropriata».
Gli autori del lavoro ipotizzano un aumento dei casi nel futuro prossimo. Infatti, oltre alle conseguenze psico-sociali che la pandemia ha portato con sé, bisogna anche tener conto della pressione psicologica a cui i giovani sono sottoposti dai social media, con la diffusione di modelli fisici e comportamentali che aspirano alla perfezione.
Insomma, nei prossimi anni dobbiamo aspettarci un aumento di disturbi della sfera mentale come la cecità funzionale, che per il momento sembra colpire soprattutto la Lombardia, prima regione ad aver affrontato la diffusione del Covid-19. Lo studio potrebbe quindi estendersi presto anche ad altre regioni, per valutare eventuali differenze.
Roberta Gatto