La fascia di Miss Coraggio? «Non è inclusiva perché essere considerate “speciali” è negativo»
«L’ unica cosa di cui le donne con disabilità hanno bisogno è non essere definite donne con disabilità, ma semplicemente donne, perché è questo che sono». Anna Adamo, avvocata attivista per i diritti delle donne con disabilità, si esprime così riguardo l’assegnazione di una fascia speciale al concorso di Miss Italia.
Il caso
Anche quest’anno, durante il concorso che celebra la “bellezza italiana”, è stata assegnata la fascia di Miss Coraggio a una delle partecipanti. A vincerla, per l’edizione 2023, è stata Jennifer Cavalletti, diciannovenne di Spoleto con disturbo dello spettro autistico.
La fascia consegnata dall’ organizzatrice Patrizia Mirigliani ha lo scopo di premiare le donne con una storia complessa alle spalle così come accaduto nel 2017 quando a essere insignita del titolo di Miss Coraggio era stata Jessica Notaro, sfregiata con l’acido dall’ex fidanzato.
Una fascia inadeguata
Secondo Anna Adamo, criminologa 27enne con disabilità, il titolo non ha però niente di premiante o inclusivo.
«Non fa altro che mettere in risalto la diversità di queste ragazze. Che, in realtà, sono davvero belle e dovrebbero partecipare al concorso per la bellezza e non per il coraggio che hanno avuto nell’accettare una disabilità o nell’essere riuscite a emanciparsi da un ex pericoloso».
L’attivista fa notare anche come l’accettazione di una disabilità o la liberazione da una relazione violenta spesso sia una necessità e non un atto di coraggio.
Un concorso discriminante
Senza entrare troppo nel merito della competizione, è bene sottolineare come Miss Italia sia di per sé discriminante verso alcune forme di disabilità: infatti, sono ammesse alla gara soltanto le ragazze che possono deambulare correttamente e indossare tacchi, quindi chi indossa protesi agli arti superiori e inferiori e chi ha una disabilità cosiddetta invisibile, come appunto le ragazze nello spettro autistico, mentre tutte le altre sono escluse.
Inclusione o inclusivity washing?
Miss Italia quindi fingerebbe di essere inclusivo, ma in realtà non lo è: «lo sarebbe se potessero parteciparvi le persone con ogni tipo di disabilità o con qualunque tipo di storia alle spalle, perché non esistono disabilità o storie di serie A e di serie B» fa notare la Adamo. Che sottolinea quanto sia ancora lunga la strada verso una reale inclusività, in un mondo dove la maggior parte dei tentativi in tal senso non è altro che “nauseabondo inclusivity washing” (pratica scorretta che consiste nel fingere di essere inclusivi per ottenere l’approvazione del proprio target di riferimento N.d.r).
Roberta Gatto