La luce più importante è tutta quella che non vediamo
La miniserie Netflix tratta dall’omonimo libro “Tutta la luce che non vediamo” (scritto da Anthony Doerr nel 2014 e vincitore del premio Pulitzer) non è solo una storia con protagonista una ragazza cieca. È un inno alla speranza e alla luce che ci accompagna anche nei periodi più oscuri come quello del secondo conflitto mondiale.
La forza di Marie Laure
La protagonista, una sedicenne che nel 1941 si trova costretta a lasciare Parigi per raggiungere Saint-Malo (un paesino francese affacciato sull’Atlantico) è un personaggio affascinante in grado di colpire per la forza con cui affronta le sfide che la vita le mette davanti. Quello che poteva essere un punto di debolezza, l’essere cieca, la rende invece straordinariamente caparbia e non le impedisce di vivere la Storia con la S maiuscola da protagonista.
Marie Laure ha tutto ciò che le serve per essere autonoma e contribuire alla resistenza francese contro i tedeschi: sa muoversi da sola grazie al bastone bianco, legge il Braille e sa usare la radio. Proprio questo strumento, non sfruttando la vista come canale, si rivela fondamentale ai fini dell’intera trama e diventa una sorta di filo invisibile che collega tutti i personaggi.
Ma perché Marie Laure è tanto speciale? Proprio perché non lo è affatto. Ed è questo suo essere straordinariamente normale a renderla unica. Non viene compatita né elogiata, risultando invece perfettamente inserita nel contesto storico. E ci si dimentica quasi che sia cieca. Per i nazisti è una nemica, per il padre una figlia, per la resistenza un’alleata, per il giovane soldato tedesco Werner Pfennig è la voce che sente alla radio durante l’assedio degli americani. Una voce che lo spingerà a non arrendersi alle brutture della guerra, a non spegnere la luce che porta dentro di sé fin da bambino.
Perché, come ci ricordano i due protagonisti sul finire del conflitto, la luce più importante è tutta quella che non vediamo.
Roberta Gatto