La violenza sulle donne disabili, un tabu da scoprire
Se già guardando i numeri delle violenze sulle donne si può essere preoccupati, osservando in particolare quella invece sopportata dalle donne disabili, beh, allora l’allarme suona davvero in modo ancora più preoccupante. «Sono i dati Istat a dircelo» denuncia il presidente Ierfop Onlus Roberto Pili alla tavola rotonda organizzata dallo stesso ente dal tema “Donne con disabilità e violenza: un male al quadrato” svolto giovedì pomeriggio nei locali di via Platone a Cagliari. «Parliamo di numeri impietosi» sottolinea Pili, «su un tema che istituzioni extra nazionali già pongono maggiori attenzioni rispetto a noi, in Italia, e spesso questo tema viene sottovalutato, non viene prestata la dovuta attenzione».
Numeri e dati preoccupanti, si diceva. «Risultano a oggi» rivela Pili, «dati di violenza su donne disabili che arrivano al 10 per cento dei casi contro il 4 per cento delle donne normodotate». E c’è anche un altro rilievo da sottolineare. «I dati su questo tema» rileva il presidente Ierfop, «sono pochi e difficili da trovare, non perché il problema non esista, anzi, ma perché su questo aspetto di violenza verso le donne disabili c’è molta poca attenzione da parte delle istituzioni stesse». E a questa difficoltà, se ne aggiunge un’altra ancora, non meno rilevante. «Quando poi c’è una disabilità cognitiva delle donne» rivela ancora Pili, «allora l’intercettazione del reato diventa ancora più difficile e la donna con disabilità si ritrova con ancora meno difese da poter impiegare».
Il problema con i nuovi fatti di cronaca nera che si ripetono è oggi sul tavolo. E nuove norme si deliberano. «L’aumento delle pene? Non è la soluzione giusta per limitare il problema» taglia corto Pili, «perché considerando come la violenza sulle donne disabili avviene da persone che ne dovrebbero avere cura (operatori, assistenti, familiari stessi), allora è necessaria una rivoluzione etica e occorre lavorare nella formazione adeguata della scuola, del sistema giudiziario, della sanità, del mondo del lavoro. Anziché “educazione civica” come si faceva un tempo nelle scuole, oggi occorre l’educazione etica».
«L’Università oggi» dice la docente di Psicologia Clinica all’Università di Cagliari Donatella Petretto, «pone sempre più attenzione su questi temi e si punta molto nel saper gestire le emozioni. Ci avviamo il 3 dicembre a celebrare l’anniversario della Convenzione Onu sui diritti delle persone disabili e bisogna tenere in conto di come le donne con disabilità corrono i maggiori rischi di esclusione dalla società civile». Qualche esempio? «Guardiamo gli articoli 23 e 25 della Convenzione Onu» sottolinea la Petretto, «perché si fa riferimento a domini oggi molto trascurati come il diritto dei disabili all’accesso alle cure, alle dovute informazioni».
Per Francesca Arcadu, referente del Gruppo Donne Uildm (Unione italiana lotta alla distrofia muscolare), «la violenza sulle donne disabili è un tema che solo in questi ultimi anni viene posto all’attenzione e questo perché quando si parla di “disabilità”, si pensa questa sia totale senza considerare invece come la disabilità possa includere anche “abilità” che invece vengono trascurate». Senza dimenticare un dato ancora più inquietante: «sempre più in maggiore percentuale» denuncia Francesca Arcadu, «la violenza sulle donne in generale e in particolare su quelle disabili, avviene nelle mura domestiche e quel che è peggio, i loro racconti e denunce non sono nemmeno creduti».
«Purtroppo su questi temi davvero delicati e importanti» rileva il vicepresidente vicario di Ierfop e presidente provinciale di Anmic Teodoro Rodin, «se ne parla molto a ridosso dei fatti di cronaca più recenti introducendo nuove norme legali senza però apporre modifiche nella cultura del sistema. Questo può avvenire intervenendo nella scuola, nella formazione degli operatori, partendo dal reciproco rispetto».
«Nei miei 45 anni di lavoro come medico di famiglia» racconta Wanda Frau presidente di Inner Weel Club Cagliari Sud, «ho potuto rilevare tante prevaricazioni. Si tratta di un problema complesso su cui bisogna agire».
«Parlarne è utilissimo» conferma Claudio Murtas del Cda di Ierfop, «e bene si fa a trattare questo argomento».
«C’è molta poca consapevolezza su questo tema» ribadisce la giornalista non vedente Roberta Gatto, «e c’è come un tabu nel parlare della sfera affettiva. L’uomo che mostra emozioni oggi, appare come un debole. Parlarne è quindi utile per acquisire consapevolezza».
«Nuove leggi per limitare il problema?» si chiede retoricamente Cataldo Ibba ex medico ospedaliero e componente del Cda Ierfop, «servono nuove leggi che partano dalla base, ma se oggi si pensa sempre più a tagliare i costi della sanità e dell’istruzione, come si può così fare prevenzione?»