Lavoro, in Italia è allarme salari
Negli ultimi 30 anni, il nostro Paese ha assistito a un brusco rallentamento nella crescita dei salari con un aumento del solo 1 per cento. Si tratta di una percentuale più che modesta, se paragonata al 32,5 per cento registrata nella media dei paesi dell’Ocse. Secondo questi dati forniti dal rapporto annuale dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), la contrattazione collettiva ha fallito i propri obiettivi, facendo emergere non pochi dubbi sulla sostenibilità di questo modello nel lungo periodo.
Dal rapporto emerge infatti una crisi della contrattazione collettiva, la cui incapacità di stimolare la crescita dei salari è evidente nel periodo dal 1991 al 2022.
Salario minimo: misure urgenti
Il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, sottolinea la necessità di un salario minimo legale in risposta alla crisi che stiamo affrontando. I salari reali hanno inoltre subito un ulteriore colpo negli ultimi tre anni a causa dell’incidenza dell’inflazione; il mancato aumento, nonostante le norme sulla contrattazione collettiva, ha poi contribuito a generare insoddisfazione tra i lavoratori italiani.
Verso le dimissioni
Anche a seguito di ciò, il 14,6 per cento degli occupati tra i 18 e i 74 anni ha considerato l’idea di lasciare il proprio posto di lavoro. La percentuale riflette una crescente insoddisfazione a cui si aggiunge il desiderio di cercare alternative lavorative che costino minor fatica e più soddisfazione.
Infine, secondo il rapporto Inapp, in Italia sono ancora presenti criticità strutturali, tra cui bassi salari, scarsa produttività e un sistema di welfare che non riesce a proteggere adeguatamente i lavoratori. Oltre 4 milioni di lavoratori “non standard” rimangono senza una rete di sicurezza, compresi gli autonomi, disoccupati e coloro che sono coinvolti nella gig economy (lavoratori a chiamata) i quali contribuiscono a incrementare la fetta di professionisti insoddisfatti.
Roberta Gatto