Bambini e tecnologie, i rischi di un’infanzia troppo davanti ai video
Bambini più distratti, meno empatici e con minori capacità di interloquire portando fino a disagi di tipo psicologico e disturbi psichiatrici. Tutta colpa di uno sviluppo troppo video dipendente. A sostenere questa tesi sono due studi pubblicati su Science e Jama Pediatrics. Come evitare tutto questo? Favorire ambienti con esempi positivi e interazioni vere.
Cosa dicono questi studi
Il primo studio condotto da Science racconta di Sam, un ragazzo australiano di 12 anni che, quando era un infante, è stato oggetto di un esperimento indolore e privo di effetti collaterali, ma estremamente affascinante. Con una microtelecamera montata sulla sua testa è stato registrato tutto ciò che ha visto e sentito per un totale di 61 ore. In pratica, è stata fatta un’ora di registrazione due volte la settimana tra i 6 e i 25 mesi di vita. Tutto quanto è stato registrato è poi finito a un modello di Intelligenza Artificiale (IA) basato sul machine learning, il cosiddetto Cvcl (Child’s View for Contrastive Learning model). Questo modello è stato in grado di associare correttamente con i loro nomi alcune immagini di oggetti frequentati da Sam durante le esperienze audiovisive registrate.
Lo studio ha quindi rivelato come si può imparare molto nei primi mesi di vita anche solo attraverso l’associazione tra stimoli provenienti da diverse fonti sensoriali.
Il secondo lavoro ci racconta invece di un gruppo consistente di bambini da 1 a 3 anni, anch’essi australiani che, quando esaminati, hanno mostrato capacità comunicative il cui sviluppo si è rivelato inversamente proporzionale alla quantità di tempo passato davanti a video, smartphone o simili. Una volta ancora, si dimostra come bambini video dipendenti diventanobambini “distratti” perché subiscono il fenomeno della «tecnoferenza», l’interferenza che la tecnologia esercita nel loro rapporto con i genitori. In questo modo, i bambini diventano meno loquaci, meno capaci di interloquire, ma anche più distratti e si riduce la loro empatia e la loro capacità mnemonica.
I due studi sono certo diversi tra di loro e hanno dei limiti. Il primo è basato su un singolo soggetto esaminato solo per una frazione minima (1 per cento) del tempo totale passato da sveglio. Inoltre dimostra solo che l’Ia può abbinare correttamente, ma non nella totalità dei casi (62 per cento) sostantivi a immagini e non dimostra che è in grado di conoscere i verbi, o la struttura del linguaggio.
Il secondo studio è basato su grandi numeri (220 famiglie esaminate una volta ogni 6 mesi nel periodo in cui i loro figli avevano 12, 18, 24, 30 e 36 mesi) ma è uno studio retrospettivo, con tutte le distorsioni di tali studi dovute per lo più a qualità e reale comparabilità dei dati quando raccolti a posteriori. Superati questi limiti e andando al di là di una mera visione riduzionistica, alcune implicazioni al troppo uso degli schermi video appaiono comunque evidenti.
La conseguenza più probabile è che lo sviluppo e la crescita dei nostri figli non sarà caratterizzata solo da povertà linguistica e comunicativa, ma anche dal rischio concreto di far loro vivere una realtà dissociata, distaccata, apatica. La conseguenza, a cui stiamo già assistendo, è un aumentato rischio per i giovanissimi e i giovani adulti di sviluppare disagi se non veri e propri disturbi di tipo psicologico e psichiatrico.
È dunque meglio creare ambienti per i nostri figli che siano fin da subito meno tossici e più umani, fatti di scambio, reciprocità, comunitarismo e solidarietà, caratterizzati da interazioni vere e non video, o peggio, mass-mediate e popolati da esempi positivi e non da ignoranza arrogante.