Malattie rare: i dati e le testimonianze di pazienti e caregiver

Si chiama Women in Rare, la centralità delle donne nelle malattie rare, ed è un progetto che intende approfondire l’impatto di esse sulla vita delle donne, siano queste pazienti o caregiver.

Questo non solo perché le malattie rare hanno maggiore incidenza sulla popolazione femminile, ma anche perché il 90 per cento dei caregiver di pazienti affetti da malattie rare sono donne.

Il progetto

Ma quale è l’obiettivo principale del progetto? Women in Rare intende costruire una banca dati, utile agli stakeholder di settore, capace di offrire un quadro dettagliato della condizione femminile per valutarne l’impatto, sia nel percorso alla ricerca di una diagnosi, sia nella dimensione socioeconomica.

Nella fase iniziale del progetto c’è stata una raccolta di tutto il materiale pubblicato sull’argomento per procedere poi con la costituzione di un board scientifico che comprende anche rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni di pazienti.

Attraverso interviste e il supporto di un team di psicologi, si è proceduto all’identificazione dei bisogni insoddisfatti e delle sfide che incontrano pazienti e caregiver. Infine, a quasi 500 persone (tra pazienti e caregiver) è stato sottoposto un questionario Cawi (computer assisted web interviewing) incentrato sul ruolo della diagnosi precoce nell’accettazione della malattia e sulla relazione tra disponibilità delle terapie e costi socio-economici per il Paese.

Il “libro bianco” di Women in Rare

Le informazioni, i dati e le testimonianze di pazienti e caregiver sono stati raccolti nel “Libro bianco italiano” di Women in Rare, presentato di recente in Senato.

In tre capitoli vengono illustrati e approfonditi i temi relativi al ruolo della donna nelle malattie rare, le evidenze, criticità e prospettive di intervento e le richieste di intervento alle Istituzioni.

«In Italia» si legge nel rapporto, «si stimano oltre 2 milioni di persone con malattie rare e di queste una su cinque ha meno di 18 anni. Il 70 per cento delle patologie insorge in età pediatrica, anche quando alla base non c’è un’origine genetica».

Secondo i dati resi noti dall’Istat, più di 7 milioni di italiani (di cui la maggior parte donne) sono impegnati nel caregiving informale, cioè quello dedicato all’assistenza e la cura verso un familiare.

Nel secondo capitolo in cui vengono presentate le evidenze, criticità e le prospettive di intervento, vengono presentati i dati raccolti durante la fase di identificazione dei bisogni insoddisfatti e delle sfide incontrate da pazienti e caregiver.

Questa fase ha coinvolto un campione di 12 donne con malattie rare (età media 34 anni) e 7 caregiver donne (età media 47 anni) di pazienti in età pediatrica affetti da patologia rara e residenti in Italia.

Successivamente vengono presentati i risultati del questionario Cawi. All’indagine hanno preso parte 206 pazienti (di cui uno di sesso maschile) e 160 caregiver (di cui 9 di sesso maschile e uno che ha preferito non rispondere).

Alcuni dati

Per quanto riguarda la distribuzione geografica del campione, il 53 per cento risulta residente nel Nord Italia, il 19 per cento nel Centro, il 18 per cento al Sud e il 10 per cento nelle Isole.

Per quanto concerne l’età alla diagnosi, emerge come il 70 per cento ha ricevuto la diagnosi tra i 19 e i 44 anni, il 12 per cento durante l’adolescenza (tra i 12 e i 18 anni) e l’8 per cento durante l’infanzia (fascia di età 1 – 11 anni) con il restante 10 per cento durante la gravidanza o a pochi mesi dalla nascita.

Il 72 per cento dei rispondenti, inoltre, ha dichiarato di aver riscontrato l’esigenza di ricorrere a un supporto psicologico a causa della malattia rara. Per il 42 per cento delle donne con malattia rara, la situazione economico-finanziaria è cambiata a seguito della diagnosi, con un peggioramento in 8 casi su 10. Nel 77 per cento dei casi le spese addizionali sono dovute a trattamenti medici, viaggi legati a controlli o cure.

Entrando nel merito dell’impatto sulla sfera relazionale, emerge come la malattia rara abbia un impatto per quanto riguarda le attività sociali, come uscite o partecipazione a eventi (66 per cento) e sulle relazioni tra cui amici, compagni o vita coniugale (67 per cento). Il 40 per cento delle intervistate evidenzia una diminuzione delle relazioni se pur con un miglioramento in termini di qualità.

Rilevanti anche i dati relativi all’impatto della malattia nel contesto lavorativo, con il 62 per cento che afferma di aver subito la propria patologia sul luogo di lavoro, e il 20 per cento che al momento dell’indagine non ha ancora comunicato la propria patologia.

Per quanto riguarda i caregiver invece, il 37 per cento delle rispondenti dichiara di non essere presente sul mercato del lavoro. Di queste, una su cinque dichiara di aver perso il lavoro o averci rinunciato.

Consistente anche le percentuali relative alle caregiver che hanno ridotto il numero di ore lavorative (27.6 per cento), che hanno abbandonato completamente il lavoro (17.2 per cento) o che hanno preso giorni di riposo dal lavoro (15.8 per cento).

Dall’indagine emerge anche come 8 donne su 10 hanno dovuto modificare la propria attività professionale a causa del proprio ruolo. Tra le ragioni principali alla base del cambiamento la necessità di bilanciare lavoro e cure (23.3 per cento), i frequenti appuntamenti medici (23.6 per cento) e le assenze dovute a ricoveri ospedalieri o visite (21.4 per cento).

A livello economico, il 65 per cento delle rispondenti ha riferito che la diagnosi di malattia rara del figlio ha comportato un cambiamento della situazione economico finanziaria, con un peggioramento per 8 casi su 10.

Emerge anche un impatto negativo sulle attività sociali (67 per cento) e sulle relazioni (61 per cento). Tuttavia, più di 7 caregiver su 10 riconoscono come il ruolo ha rappresentato un’occasione di crescita personale (76 per cento) e un modo per rivalutare in modo positivo le priorità e i valori personali (68 per cento).

Emanuele Boi

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