Salari in Italia: si guadagna meno che nel 1990 e siamo l’unico Paese Ue in discesa
Da anni in Italia si registrano salari molto bassi. A rivelarlo è la classifica dell’Ocse su dati Eurostat che vede i redditi medi italiani sotto ai livelli degli anni ’90. A fronte di tutto questo vi è una vasta area di povertà fatta di chi non ha un contratto fisso e, soprattutto i giovani, molto spesso finiscono trascinati nella fascia dei “tirocini”: con paghe miserrime. Ma che però contribuiscono a incrementare la fascia degli “occupati”. Secondo il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, questa fascia comprenderebbe «due milioni di lavoratori». Di contratti, cioè stagionali nel turismo e nei servizi dove la componente “nero” è rilevante, aggiunte cornici contrattuali spesso illegali e per giunta neanche difese da attenti controlli.
Dal 1990 si registra una discesa inesorabile
Ma quanto quanto guadagnano le persone realmente? In economia si chiama salario reale, cioè il salario rapportato ai prezzi. Ebbene, secondo i dati Ocse, l’Italia è tra le grandi economie dove i salari reali sono diminuiti di più. Quanto? Meno 7,3 per cento solo nel 2022 rispetto al 2021, anno in cui la crescita dei prezzi trainata dal rincaro dell’energia ha ridotto pesantemente il potere d’acquisto delle famiglie.
Tutta colpa di redditi fermi frenati oltretutto da una produttività stagnante, ferma quasi e così il conto si scarica pure su chi un lavoro lo ha.
Niente di nuovo, tuttavia. A dirlo è ancora l’Ocse che registra come i salari reali in Italiacerano già scesi del 2,9 per cento dal 1990 al 2020. Le ragioni? L’alta inflazione generata dalla guerra in Ucraina e della veloce ripresa post Covid aggrava un problema che avevamo già.
Imprese italiane piccole
Certo, i bassi salari sono la spia di un malessere profondo dell’economia, ma essi sembrerebbero derivare da una crescita lenta della produttività totale dei fattori. E questo nonostante il modello di specializzazione produttiva italiana. Questo comporta ad avere un impatto anche sulla demografia.
La forza lavoro anziana e poco istruita contro una insufficiente percentuale di lavoratori con istruzione avanzata porta a conseguenze sulla produttività. Cìè poi la ridotta dimensione delle imprese vuoi anche per sfuggire alla tenaglia del fisco. Da qui la scarsa innovazione tecnologica e quindi al valore aggiunto che ciò genera sulla produttività retaggio di un capitalismo familiare.
In Europa
Guardando i dati della Bce (Banca centrale europea), si nota un certo scarto nella crescita del valore nominale dei salari tra i vari paesi dell’Eurozona. Qqui i dati dello studio dell’associazione Adapt con la crescita registratasi in Italia è del solo 1.1 per cento, mentre altri Paesi registrano percentuali più elevate, come Germania (2.7 per cento) o della Repubblica Ceca (4.4 per cento). Caso a sé e la Francia, dove il valore nominale dei salari è cresciuto indicativamente del 5 per cento.
L’inflazione
L’aumento repentino dei prezzi per le cause già dette, ha eroso l’aumento nominale delle retribuzioni contrattuali registratosi in questi anni. E questo, nonostante dal 2015 si sia riscontrata una crescita dei salari stessi, anche in termini reali, nella maggior parte dei paesi europei. Questa crescita, che nel 2021 aveva subito un calo del trend fino a scendere drasticamente nel 2022, si è arrestata con l’aumento dell’inflazione. Insomma, se guardassimo indietro al 2008 (l’anno della crisi finanziaria che aveva travolto il sistema bancario americano), i salari italiani sono più bassi del 12 per cento in termini reali. E così, la retribuzione media, a parità di potere d’acquisto tra tutti i Paesi del mondo, in Italia è poco superiore alla soglia dei 35mila euro mentre la media Ocse è superiore ai 46 mila euro.