Disabilità e come se ne può parlare al meglio

Il linguaggio e il lessico impiegato per comunicare il tema della disabilità è molto importante. L’uso di una terminologia corretta è la prima condizione per essere rispettosi, dare dignità e includere il mondo della disabilità. In questo modo si evitano quelle semplificazioni e coloriture spesso ancora oggi usate e che perpetuano stigma ed emarginazione sociale.

Ordine dei Giornalisti
Il Comitato per le Pari Opportunità dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, ha curato una guida dal titolo Comunicare la disabilità. Prima la persona.  In questo testo, si definisce la comunità delle persone con disabilità come «la più vasta minoranza sociale al mondo».

Esse sono stimate nel 20 per cento della popolazione globale e nel 27 per cento di quella europea degli over 16 anni. Considerando gli over 65enni di età, si arriva però al 52,2 per cento. Tanti dunque, per non prestare loro attenzione e, soprattutto, rispetto.
In Italia i dati indicano in quasi 13 milioni di persone, di cui 3,1 milioni con disabilità “impegnativa”. A 7 milioni e mezzo di persone è stata rilasciata una certificazione, erogata una pensione o indennità. Si stima che almeno una famiglia italiana su dieci abbia un componente con disabilità che ha bisogno di assistenza.

Comunicare la disabilità.
Ecco quindi, come la pubblicazione dell’Ordine dei Giornalisti è rivolta anzitutto alla categoria affinché eviti le semplificazioni spesso dettate dalla fretta o dalla scarsa conoscenza del mondo della disabilità. Un lavoro però che non può essere ristretto solo a chi opera nei media, ma che può servire a tutti, Perché tutti devono conoscere, o migliorare l’uso corretto del linguaggio da usare quando si tratta il tema della disabilità e delle persone disabili.

Persone con disabilità
Se si pensa al passato, la definizione delle persone disabili ha avuto nel tempo uno sviluppo davvero considerevole. Ricordiamo i termini spregiativi impiegati prima quali “ritardato”, “menomato”, “invalido”, “malato di mente”, “handicappato”. Più di recente si è passati al “diversamente abile”, che indica comunque una condizione di diversità, di inferiorità ancora oggi largamente diffuso. Si tratta, in buona sostanza, di termini che debbono essere banditi dal linguaggio comune. La ragione principale? Perché partono dalla condizione e non dalla persona.

Si tratta, in buona sostanza di espressioni gergali che ancora sopravvivono, ma che sono discriminatorie.
Convenzione Onu

Già nel 2006 la Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità parla dei diritti delle “persone con disabilità”. La disabilità è vista quindi come una condizione della persona ed è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali e ambientali che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri. Da qui a stabilire come la disabilità altro non è che il rapporto sfavorevole fra la persona e le sue condizioni di salute con l’ambiente che la circonda.

Parole e civiltà
Essere consapevoli dell’uso adeguato delle parole verso le persone con disabilità indica non solo il grado di consapevolezza e maturità sulla condizione di queste persone, ma anche il grado del livello di civiltà della società. Per questo all’aggettivo “disabile”, va anteposto sempre la parola persona. E addio al termine “diversamente abile”.

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