Vivere con una malattia cronica: Alessandra Pontis si racconta

Sul suo profilo Facebook strappa sorrisi e fa riflettere tanto, regalandoci frammenti di quotidianità condivisa con il marito Tony e la gatta Moka, una sorta di guru felino che non la abbandona mai.

Abbiamo chiesto ad Alessandra di raccontarci la sua storia e lei lo ha fatto nel suo specialissimo modo, dandoci una visione diversa della malattia e ricordandoci quanto ognuno di noi sia importante e meritevole di essere felice. Al di là del dolore e del senso di impotenza cui spesso si accompagnano le malattie croniche. Perché, per dirlo con le parole di Alessandra, «noi non siamo la nostra malattia, ma semplicemente persone».

Alla ricerca di un equilibrio

Un’ottimista dalla nascita. Così si definisce Alessandra, ma non solo. Sempre alla ricerca di un equilibrio dinamico tra il desiderio di non avere pregiudizi e la gestione di quella pressione sociale che ci porta verso il “dover essere in un qualche modo, a ogni costo”.

Psicologa positiva, Alessandra vede la sua professione come la «declinazione formale di un percorso di vita veramente ricco di tante esperienze, belle e meno belle».

L’incontro con la malattia

Nel 2015, Alessandra viene ricoverata per un mese a causa di una trombosi venosa profonda-Tvp, aggravatasi poi in un’embolia polmonare.

«All’inizio non avevo realizzato che cosa stesse succedendo» racconta, «perché stessi andando in apnea. Un trauma che mi ha accompagnato per diverso tempo, anche dopo aver escluso il rischio di recidiva».

Un episodio isolato, quindi, dal quale Alessandra sembra riprendersi bene. «Per diversi mesi sono stata monitorata dal mio Centro Trombosi di riferimento. Ho sospeso la causa primaria (ovvero la pillola, e sono stata tranquillizzata rispetto al mio futuro».

La cronicizzazione

Finché, nell’agosto 2023, si ripresentano gli stessi sintomi. «All’inizio, li ho scambiati per un’infiammazione della sciatica. Gamba gonfia, dolore neuropatico, difficoltà a camminare. Insomma, ho cercato in qualche modo di minimizzare la cosa, anche perché sono una che ci va molto cauta con le auto-diagnosi». Qualcosa però non va. Le terapie classiche per l’infiammazione del nervo sciatico non funzionano e Alessandra comincia a preoccuparsi.

«In accordo con la dottoressa di base, chiedo il ricovero urgente. Pronto soccorso, trafila di analisi strumentali, quando arriva il momento dell’ecodoppler scopro con grande sorpresa come la mia paura non fosse affatto infondata, anzi. Conferma di Tvp ed embolia polmonare in corso. Di nuovo».

La reazione

«Come mi sono sentita? Una scema che ha dato per scontato un po’ tutto, alla fine. Ho ignorato dei segnali e mi sono preoccupata principalmente per il fatto di non poter mollare così il lavoro. Quando mi hanno ricoverata ho passato dei giorni surreali. Mi sono ricordata di non essere perfetta e che ho un limite anche io».

Convivere con una malattia cronica

«Quando ho avuto il mio primo episodio di Tvp avevo 28 anni, ero all’inizio della mia carriera professionale e non avevo grosse preoccupazioni». Una vita normale, insomma.

«Quando hai tutto credi di essere immortale e invincibile. Penso sia un po’ il modo in cui la società vede le persone giovani, come portatrici di un segreto per cui non ci si potrà mai ammalare e nulla potrà mai andare storto».

Invece, come ci ricorda Alessandra, la vita spesso è imprevedibile e può cambiare le carte in tavola a qualsiasi età, scompaginando i nostri progetti e le nostre abitudini. L’importante è non arrendersi.

L’approccio alla  malattia

«Non posso pensare al mio corpo come a una macchina che non funziona. La malattia è solo una forma della vita stessa» spiega Alessandra. «Le persone hanno paura della malattia perché é una rottura nella narrazione della nostra esistenza, è come se si cambiasse improvvisamente il protagonista e si diventasse un semplice spettatore. È per questo che molti si sentono impotenti. Io voglio trasmettere l’idea che ogni condizione ha la sua dignità, a qualsiasi età, in qualsiasi fase della vita e che può assumere un grande significato per noi, perché è una manifestazione della nostra imperfezione naturale».

Diventa importante, quindi, imparare a parlarne «senza il timore di sentirci “difettosi”. Se riconosciamo l’umanità della nostra sofferenza, se le diamo Valore, allora diventa “normale”».

Una giornata tipo

Ironia e flessibilità sono le parole chiave attorno a cui ruotano le giornate di Alessandra. «Quando parlo delle mie giornate in ospedale per i controlli, o dei giorni in cui mi si blocca la gamba, lo faccio con estrema ironia. “Oggi scattante come Nosferatu” è il thread dei miei post nei giorni difficili».

Non ci sono giornate tipo, dunque, quando si convive con una malattia cronica, ma si impara ad apprezzare il valore delle piccole cose. «Sarò onesta» dice Alessandra, «prima di agosto avrei saputo elencare l’esatta sequenza delle mie attività. Oggi dico che sto imparando la flessibilità. Di base sono una che si alza molto presto. Ma se prima avrei cominciato a lavorare dall’alba, adesso sono molto più lenta, anche perché la terapia mi ha portato degli scompensi in termini di pressione. Più che altro cerco di dosare le mie energie nel corso della giornata e della settimana, quello sì: prima lavoravo anche 12-14 ore al giorno, perché cercavo di sfruttare al massimo tutte le mie risorse; oggi non posso permettermelo, sia perché mi è stato letteralmente proibito di condurre una vita sedentaria (è uno dei fattori di rischio per la trombosi N.d.A.), sia perché la mia resistenza è nettamente ridotta rispetto a prima. Cerco di dedicare metà giornata alle consulenze e l’altra metà ad altre attività più dinamiche. Oppure, se ci sono giornate particolarmente impegnative, devo prendermi almeno uno o due giorni per defaticare. E lì sì che faccio la mia terapia: mi dedico all’orto e al giardinaggio, seguendo i principi della mindfulness, consapevolezza di sé. Curo lo spazio esterno come se fosse una manifestazione del cambiamento che sta avvenendo nel mio mondo interiore: esploro, taglio rami secchi, cerco di capire il ritmo della natura, mi immergo in mezzo al dolce far niente, mi lascio sorprendere dall’inaspettato, respiro.

La mia giornata tipo ha una dimensione fortemente connotata dalla lentezza e dalla riflessione. Eppure non ho mai fatto così tante esperienze, forse perché ho smesso di vedermi solamente come qualcuno che produce e consuma e ho ridato voce a quelle parti di me che hanno bisogno di ascolto e compassione».

Un consiglio a chi ha una malattia cronica

«Non pensate di essere difettosi o di aver subito un’ingiustizia: è parte della natura umana, è un fatto fisiologico. Molto spesso l’aspetto emotivo è quello che fa soffrire di più, perché le persone tendono all’auto-etichettamento e pensano, agiscono, a volte amano pure in funzione del ruolo di “malato”: smettono di vedersi, di riconoscersi, di fare progetti, di creare connessioni, permettendo al dolore di diventare parte integrante della loro vita e lasciando che la rabbia prenda il sopravvento, anziché accogliere tutte quelle emozioni negative. Non siamo macchine, non siamo ingranaggi: apparteniamo alla Natura e siamo persone».

La relazione con gli specialisti

Sia come paziente che come professionista, Alessandra è convinta dell’efficacia di «un modello sanitario più improntato all’ascolto, all’empatia, alla comunicazione “i shin den shin” (da cuore a cuore, come nella cultura zen). E io li ho trovati davvero i Professionisti che parlano col cuore, il team medico-sanitario del reparto di Medicina 1 dell’Ospedale G.Brotzu di Cagliari e i Professionisti del Centro Trombosi del Policlinico di Monserrato».

Per il futuro, Alessandra è pronta ad accogliere tutto ciò che la vita le riserva.

«Di sicuro voglio continuare a essere portavoce di quelle donne che vivono con un disturbo cronico in giovane età e, in particolar modo, sensibilizzare le persone ad avere una vita più attiva, a contatto con la natura, perché un adeguato stile di vita è un fattore di protezione importantissimo, soprattutto nei casi di trombosi e soprattutto nelle donne, poiché siamo più esposte dall’uso della pillola anticoncezionale. Per questo, suggerisco di consultare il sito della Feder-Aipa, l’Associazione Italiana Pazienti Anticoagulati, per saperne di più sui fattori di rischio e su come prevenirli».

Infine, Alessandra sta pensando di scrivere un libro, «un pochino diverso dai manuali specialistici ai quali sono abituata. Ma ho bisogno di un po’ di tempo, anche se so che vorrei dargli la forma di un piccolo compendio, di quelli che apri ogni volta che hai bisogno di sentirti meno sola nei momenti difficili e più vicina all’idea di una Te ancora in costruzione».

Roberta Gatto

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