Quando la disabilità fa storia
Tutti (o quasi) conoscono Stephen Hawking, Jhon Nash, Beethoven, Mozart. Ma cos’hanno in comune questi quattro uomini? La risposta è semplice: sono persone che hanno fatto la storia. E sono tutte persone con disabilità.
Dagli antichi greci a oggi
Se facessimo un breve excursus della storia della disabilità, dai filosofi greci fino a oggi, il nostro sarebbe senz’altro un tour dell’orrore. La disabilità, specialmente quella fisica, è stata per lunghissimo tempo considerata come qualcosa di cui vergognarsi, nella migliore delle ipotesi, o qualcosa da eliminare nella peggiore.
Tralasciando le pratiche barbare degli antichi greci (i quali erano soliti sacrificare le persone con disabilità evidenti), passando poi per il medioevo quando si finiva a fare i giullari nelle corti o si era tacciati di essere posseduti dal maligno, fino ad arrivare all’Ottocento, dove la disabilità era qualcosa da nascondere, magari nei manicomi, e al Novecento, con il nazismo e la sua ideologia terrificante, approdiamo finalmente ai giorni nostri.
Oggi le persone con disabilità stanno finalmente guadagnando una propria dignità, anche grazie a chi si fa portavoce di un mondo fuori dall’ordinario e per questo straordinario. Sono allora “storie di straordinaria disabilità attraverso la Storia” quelle che vogliamo raccontarvi, di uomini e donne che hanno lasciato un segno e di cui talvolta si sa poco e niente.
Potremmo partire da esempi illustri come quelli citati, Mozart, Beethoven, Stephen Hawking. Ma abbiamo deciso di cominciare con un illustre sconosciuto, un italiano, capitano di vascello, promotore della cultura e figlio di un re.
Oddone di Savoia
“Diseredato dalla natura che dotavalo di una costituzione inferma e predestinata a lunghe tribulazioni, quasi a compenso del martirio cui doveva riuscirgli la vita, la Provvidenza volle arricchirlo di un cuore e di una mente che gli aprissero il campo a fruire delle più soavi gioie dell’esistenza in quegli anni in cui la comune degli uomini riesce appena ad iniziarsi alla vita. Breve fu il passaggio del compianto Principe sulla terra, ma fu quale di brillante meteora che lascia dietro di sé durevoli raggi di luce”. Così la Gazzetta di Genova, nel 1866, annuncia la scomparsa del giovane principe Oddone di Savoia, riassumendo quella che fu una vita breve, segnata dalla malattia, ma non per questo meno intensa.
Generoso, gentile e per questo molto amato dal popolo, vivace e intelligente, Oddone Eugenio Maria di Savoia nacque l’11 luglio 1846, in perfetta salute. Duca di Monferrato, figlio quartogenito di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, e di Maria Adelaide d’Asburgo Lorena, a due anni manifesta le prime avvisaglie di una malattia degenerativa (probabilmente l’osteogenesi imperfetta, una malattia rara che causa nanismo e rachitismo).
Comincia così per il principe una vita fatta di terapie dolorose, interventi chirurgici e lunghi periodi di convalescenza. Oddone ha difficoltà a camminare, si serve di un bastone o di una carrozzina e non prende parte alla vita di corte. Ad assisterlo, come spesso accade anche oggi, soprattutto la madre e la nonna.
Il padre, si pensa, lo amò molto pur vergognandosene, il che non stupisce data l’epoca con i suoi rigidi canoni estetici.
Una mente brillante
Oddone è un giovane malinconico, ma dotato di grande vivacità intellettuale. Eccelle negli studi e fantastica di viaggi per il mondo. Sviluppa una precoce sensibilità artistica, la quale lo porta a diventare un vero e proprio collezionista di opere d’arte.
Nell’autunno del 1861 chiede al padre di potersi trasferire a Genova. Ha solo 15 anni e una disabilità importante, eppure desidera vivere in autonomia. Il re, mostrando un’ampiezza di vedute inusuale per l’epoca, accetta e Oddone si trasferisce con una piccola corte al palazzo reale di Genova, occupando l’ala ovest al terzo piano. Qui si dedica alle sue passioni, scienza, arte, musica, lingue straniere e geografia.
Nominato dal re capitano di vascello in virtù delle sue conoscenze in campo nautico, a Genova Oddone comincia ad acquisire maggiore sicurezza e muove i primi passi in società. Non di rado, infatti, viene visto a teatro e il palazzo reale diviene ben presto un centro d’incontro culturale, frequentato da scienziati, artisti, accademici e autorità civili.
Lo stesso principe diventa promotore e protettore delle opere dell’intelletto, trascorre le sue giornate impegnato in dibattiti con altri intellettuali, istituisce borse di studio per gli studenti dell’Accademia Linguistica e viene nominato presidente onorario della società promotrice delle Belle Arti.
Il collezionismo
A sedici anni Oddone visita Napoli, Pompei, Caserta e Ischia, le principali città siciliane e sarde e arriva quindi in Grecia e a Costantinopoli. Il principe rientra dal viaggio con un carico di reperti archeologici, oggetti d’arte e antichi. La sua collezione, comprendente perfino reperti etruschi e pre-colombiani, ottiene fama internazionale e l’anno successivo finanzia gli scavi archeologici a Cuma e Santa Maria Capua Vetere, in Campania.
Ma la sua passione per il collezionismo non si limita alle antichità. Il principe colleziona infatti monete (soprattutto dell’Impero romano e del Medioevo), conchiglie e alghe, uccelli imbalsamati e vivi, acquari marini.
Nel 1866, con l’aiuto di Michele Lessona, noto zoologo e divulgatore scientifico, fa l’inventario del suo museo personale, attualmente conservato all’Archivio di Stato di Torino. Nella sua collezione anche opere di pittura, altro campo nel quale si diletta.
Gli ultimi anni
Nel 1864 le sue condizioni di salute peggiorano. Tuttavia, il giovane Savoia non si dà per vinto e continua a pensare al futuro. Durante l’estate trascorsa come ospite a Villa Durazzo Bombrini a Cornigliano, nel Ponente genovese, visita spesso il museo di storia naturale.
Qui prende forma un progetto museografico e di uno stabilimento balneare per ospitare bambini bisognosi di cure vicino al mare. Su sua insistenza, il re acquista quindi la villa, nella quale Oddone si trasferisce definitivamente. Negli ultimi anni si dedica alla beneficenza, sovvenzionando asili e ospitando nella sua dimora i piccoli che necessitano dell’aria marina per stare meglio, in attesa di poter realizzare lo stabilimento. Il progetto, però, non si realizza.
Nel settembre 1865, infatti, di rientro da una visita alla famiglia a Torino, viene colto da emorragia e idropisia (liquido nelle cavità sierose) e muore nella notte tra il 21 e il 22 gennaio 1866 a diciannove anni. La sua è stata una vita breve, diversa da quella dei fratelli e degli altri principi, eppure ricca e vissuta in autonomia.
Oggi ci restano le sue collezioni nella Galleria d’Arte Moderna di Genova dove, accanto a un antico vaso romano, possiamo ritrovarlo nella statua di Antonio Orazio Quinzio del 1891, ritratto seduto, con lo sguardo fiero rivolto di lato, e la posa pronta al movimento.
A ricordarci come la disabilità non sia un ostacolo in grado di fermarci, quando è la passione a guidarci.
Roberta Gatto