L’immigrazione può essere una risorsa per l’economia locale o rappresenta una minaccia per i lavoratori in quanto concorrenza al ribasso sul prezzo del lavoro? Da questa domanda prende spunto una ricerca dell’Università della California, portata avanti da Giovanni Peri e Alessandro Caiumi.
La ricerca e le conclusioni
Il lavoro dei due studiosi mette in evidenza come gli immigrati vadano considerati lavoratori “complementari” a quelli locali, andando così ad arricchire il processo economico.
Ad avvalorare la tesi di Caiumi e Peri il fatto che negli Stati Uniti, dal 2000 al 2019, i flussi migratori hanno generato un aumento (tra l’1.7 e il 2.6 per cento) dei salari nella popolazione locale meno istruita e in generale un aumento salariale compreso tra il 0.5 e il 0.8 per cento.
Si deve considerare anche un cambiamento degli immigrati. Se tra il 1980 e il 2000 gran parte dell’immigrazione era costituita da una forte intensità di lavoro non qualificato, oggi questa tendenza si è invertita tanto che gli immigrati con istruzione universitaria rappresenta il gruppo più numeroso di nati all’estero nella popolazione adulta statunitense.
L’immigrazione può anche determinare un incremento della produttività in quanto le competenze dei lavoratori vanno ad arricchire il processo di produzione locale.