La salute mentale sul lavoro a Milano: uno specchio della situazione italiana?
«Relazioni faticose, mancati riconoscimenti, assenza di attenzione, frammentazione, identità lavorativa continuamente in discussione». Questi i temi che emergono a Milano nel mondo del lavoro.
A “fotografare” lo stato di salute psicologica dei lavoratori meneghini è una ricerca condotta dallo Sportello disagio lavorativo e mobbing della Cisl.
Poco più della metà dei lavoratori definisce la sua situazione in azienda «normale», se non addirittura «buona». C’è un “ma”, però. Ed è quella di una sofferenza spesso nemmeno esplicitata che riguarda la dimensione umana. E non solo, perché tutto diventa peggiore quando ci sono di mezzo la maternità, la disabilità o le molestie.
Si tratta di dati qualitativi, e sono il frutto di un questionario (riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale) studiato per l’individuazione di alcuni sintomi. La ricerca ha visto oltre 47 colloqui individuali e ha approfondito il tema con altrettanti lavoratori rappresentativi della varietà del mondo aziendale metropolitano. Sono state considerate piccole realtà societarie così come le multinazionali e settori che vanno dal commercio alla manifattura. E si tratta di lavoratori piuttosto introdotti nei rispettivi ambienti. Dai loro racconti affiorano però diversi fronti di sofferenza, anche personale.
In molti sottolineano «la soggettività della fatica e non riporta la variabile protettiva della relazione». Dai questionari e dai colloqui emergono parole e frasi come «inadeguata e stanca», «sotto osservazione», «paura di sbagliare», «sempre vigile, teso», «demoralizzata». Sono temi molto delicati e neanche rari. Ed emergono anche discriminazioni: diversi intervistati riferiscono di aver assistito ad atteggiamenti sgradevoli nei confronti di colleghi omosessuali, ma dalla ricerca emerge con preoccupante chiarezza come il principale bersaglio delle varie forme di penalizzazione è ancora la maternità. Causa questa, di burnout, oppure di mancati avanzamenti di carriera fino ad arrivare a declassamenti. E la tendenza a «mettere le lavoratrici l’una contro l’altra» come si legge nello studio effettuato.
Qualcosa di simile colpisce anche la disabilità e i care giver, cioè chi usufruisce di permessi perché deve occuparsi di familiari che hanno bisogno di assistenza.
Non mancano nemmeno le molestie, e fa un certo effetto constatare come almeno la metà dei 47 delegati sindacali che hanno partecipato alla somministrazione delle domande ha avuto dubbi sull’opportunità di denunciare in quanto non si sente al sicuro. E poi perché l’azienda tenderebbe a sminuire l’accaduto e quindi avverte il rischio di mettersi in una situazione difficile.
Bachisio Zolo