Disabilità nella Storia: Giacomo Leopardi

«È soltanto per effetto della viltà degli uomini che si è voluto considerare le mie opinioni filosofiche con il risultato delle mie sofferenze personali. […] Prima di morire, protesterò contro questa invenzione della debolezza e della volgarità e pregherò i miei lettori di dedicarsi a demolire le mie osservazioni e i miei ragionamenti piuttosto che accusare le mie malattie».

Così Giacomo Leopardi ”, all’amico francese Louis de Sinner, nel 1832.

Scrittore e poeta, ma non solo. Il genio di Recanati è un’icona di modernità, una persona con disabilità capace di sfidare i pregiudizi e brillare nel panorama culturale italiano dell’Ottocento.

Ancora oggi si discute circa la sua sessualità, confermando come il poeta sia stato capace di andare oltre tutte le barriere. Una vita straordinaria segnata dalla malattia e da una vena pessimistica, a tratti smorzata da una feroce ironia. Oggi vi raccontiamo la vita di un ragazzo, di un uomo, capace di guardare oltre, fino a raggiungere  “infiniti spazi e profondissima quiete”.

L’uomo dietro il poeta

Giacomo Leopardi nasce a Recanati nel 1798, figlio di due cugini, il conte Monaldo Leopardi e la marchesa Adelaide Antici. Ed è forse questa unione tra consanguinei la causa indiretta del genio poetico che lo accompagna dall’adolescenza alla morte. Certamente, Giacomo è un bambino dal talento precoce. Cresce in una famiglia cattolica, educato da due precettori ecclesiastici e scrive il suo primo sonetto, “La morte di Ettore”, già a undici anni.

A stimolarne la creatività, l’ambiente privilegiato in cui vive. Il futuro conte ha infatti la possibilità di accedere a migliaia di volumi nella biblioteca paterna. Una vera e propria fortuna, appannaggio di pochi, di cui Leopardi approfitta senza risparmiarsi.

Fino ai sedici anni è un normale adolescente. Gian Antonio Stella, nel suo “Diversi”, scrive riportando una confidenza del marchese Filippo Solari da Loreto, di come il nobiluomo avesse lasciato «in Recanati Giacomino di circa sedici anni sano e dritto, e indi a un lustro di là tornato, lo trovò consunto e scontorto».

La malattia

Sulla malattia che affligge il poeta troviamo diverse ipotesi. Sempre Stella riporta le più vetuste, di stampo cattolico e altresì fantasiose ai nostri occhi, le quali sostengono, nel 1883, come la causa delle sue infermità siano le “precoci attività onanistiche”. Il che non spiega, ovviamente, come mai gli stessi malanni non affliggano allora anche la maggior parte dei suoi contemporanei di sesso maschile.

Tesi più recenti e sostenute da rigore scientifico identificano invece la causa dei mali di Leopardi in una malattia genetica rara. Il dottor Sganzerla, professore di Neurochirurgia e Direttore della Scuola di specializzazione in Neurochirurgia dell’Università di Milano-Bicocca, identifica la malattia del poeta con la spondilite anchilopoietica giovanile. Si tratta di una malattia infiammatoria cronica, che interessa diversi organi e causa malformazioni del tronco superiore, con la formazione di una gobba dorsale. E infatti, la statura del giovane conte è di appena un metro e 41 centimetri, con un torace “esilissimo” e due gobbe, una davanti e una dietro.

Leopardi soffre di diversi malanni, tra cui disturbi visivi, urinari, disturbi intestinali, complicanze cardiopolmonari, astenia. Quale che sia la causa, è assodato quanto soffra, nel corpo come nello spirito. Ad affliggergli maggiormente l’animo, tuttavia e a ragion veduta, è l’ignoranza di cui è circondato.

Il rapporto con Recanati

Non sorprende leggere, nel saggio di Stella, di come il poeta confidi all’amico Pietro Brighenti nel 1841: «Io sto qui, deriso, sputacchiato, preso a calci da tutti, menando l’intera vita in una stanza, in maniera che, se vi penso, mi fa raccapricciare». E ancora: «Del mio nascimento dirò solo, perocché il dirlo rileva per rispetto delle cose che seguiranno, che io nacqui di famiglia nobile in una città ignobile dell’Italia».

La sessualità

Il dibattito sull’orientamento sessuale di Leopardi porta con sé svariati significati. Che sia eterosessuale, omosessuale, bisessuale o semplicemente ossessionato dal sesso non ci è dato saperlo con certezza. Sta di fatto che, come ogni ragazzo prima e come ogni uomo poi, Leopardi ha, durante la sua breve vita, dei bisogni sessuali. A prescindere dal suo aspetto, dalla sua infermità. Se questi bisogni li abbia mai soddisfatti e con chi, anche questo non è noto. Ma già il fatto che ci si interroghi sulla questione è un qualcosa su cui riflettere.

Se il poeta fosse stato un signor nessuno dell’epoca, una persona con disabilità qualunque, anziché l’autore di quegli immensi capolavori che sono le sue opere, forse la domanda non sarebbe sorta, dando per scontato come la disabilità metta alla porta qualunque esigenza di natura sessuale.

Di sicuro sappiamo che a un certo punto della sua vita, Leopardi fugge da Recanati e visita diverse città italiane come Roma, Firenze, Pisa e Napoli e in ognuna di queste città conosce uomini e donne con cui intrattiene rapporti di amicizia, spesso anche a distanza in forma epistolare. Vive in piena autonomia fisica e di pensiero, lontano dalla famiglia e circondato dalle persone che più lo aggradano. E intanto, forse anche per via dei mali che lo affliggono, compone versi destinati a lasciare un segno nella letteratura italiana.

Muore il 14 giugno del 1837 a Napoli, tra le braccia dell’amico Ranieri. Le cause sono ancora incerte, degno di nota è il pasto che consuma prima di spegnersi: a pranzo, alle 17, un chilogrammo di confetti, comperati da Paolina Ranieri per l’onomastico del fratello, una cioccolata, mentre la sera una minestra calda e una granita al limone.

Progettava di rientrare al paese natio per riconciliarsi con il padre e in seguito di partire per la Francia. Per quanto sofferente al punto da non disdegnare l’idea di un trapasso precoce, le scelte fatte dimostrano come in lui ci fosse ancora una scintilla d’amore per la vita, una voglia di “normalità” e di ricerca del piacere e della felicità, lasciandosi alle spalle i malanni con cui dovette convivere per gran parte della propria esistenza.

Roberta Gatto

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