La tragedia delle persone con disabilità a Gaza

«Viviamo a Gaza in una situazione tragica, mangiamo quasi niente e beviamo esclusivamente acqua salata, mio figlio ha una rara forma di distrofia muscolare e non ci sono a disposizione in tutta la Striscia strutture mediche per aiutare in particolare le persone non autosufficienti». Parole disperate, quelle di Khawla Jamil Al-Wahiddi in un’intervista al Fatto.it, che raccontano di una realtà troppo spesso dimenticata.

Eppure succede proprio sotto i nostri occhi. Migliaia di persone con disabilità vivono in una situazione a dir poco drammatica, senza l’aiuto di corridoi umanitari adeguati.

«Non c’è neanche l’elettricità per caricare le batterie della carrozzina di mio figlio che ha necessità di utilizzare ogni giorno per spostarsi» prosegue la donna, «e viviamo in mezzo agli insetti che possono portare anche gravi malattie infettive».

La famiglia di Ahmed (questo il nome del ragazzo affetto da distrofia rara) ha perso la casa sotto i bombardamenti e ora i genitori pagano circa 2000 dollari di affitto per una casa di appena 50 mq. Nella striscia di Gaza non ci sono associazioni dedicate alle persone fragili, con la conseguenza di un drastico peggioramento delle loro condizioni di vita e di salute.

Una sola scelta

L’unica via percorribile, seppure molto difficile, è quella dell’evacuazione dal Paese. La madre di Ahmed vorrebbe raggiungere l’Italia, dove già si trova la nonna del ragazzo. Il diciassettenne palestinese ha inoltre lanciato un appello affinché «le Nazioni Unite garantiscano il più in fretta possibile l’evacuazione in sicurezza e protezione per le persone con disabilità non autosufficienti. Sono pelle e ossa, malnutrito, e la mia malattia è progredita notevolmente. Chiedo» conclude Ahmed, «che qualcuno si accorga di noi persone con disabilità di Gaza e corra in nostro aiuto. Io sto morendo lentamente. Chiedo di ascoltare queste mie parole con grande attenzione e compassione. Fermate la cascata di sangue. Aiutatemi a fuggire da qui».

Roberta Gatto

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