Disabilità nella Storia: Ludwig van Beethoven, (1770 – 1827)
Un uomo che ha reso possibile l’impossibile: sentire la musica soltanto attraverso l’anima. Beethoven nasce a Bonn, in Germania, il 17 dicembre del 1770 da una famiglia di modeste origini.
Il padre è un tenore con il vizio dell’alcol, un uomo duro e brutale, mentre la madre è una giovane vedova dal carattere dolce, ma incline alla depressione. Un talento precoce, quello di Beethoven, di cui il padre non tarderà ad approfittare.
Si racconta infatti di come fosse solito svegliare il piccolo Ludwig nel cuore della notte per costringerlo a suonare per i suoi amici. Non si sa se queste voci siano vere o infondate, tuttavia è comprovato il tentativo del padre di farne un bambino prodigio, sulla scia del successo del giovane Mozart.
Dal 1778 al 1781, il padre lo porta in un giro di concerti tra la Renania e i Paesi Bassi, presentandolo come virtuoso di pianoforte, pur senza riscuotere il successo sperato. Tuttavia, Ludwig ha in sé un particolare genio musicale che riesce a esprimere più nella composizione che non nell’esecuzione.
Una carriera inattesa
Fin da bambino, Ludwig rompe i pianoforti con il suo modo particolare di suonare. Anche a causa della prematura morte della madre e dei problemi del padre con l’alcol, però, comincia fin da ragazzo a lavorare come organista, pur conservando il desiderio di diventare un giorno direttore d’orchestra.
Se inizialmente le sue opere risentono dell’influenza di Mozart e Haydn, ben presto il suo approccio alla composizione musicale si discosta da questi modelli e prende una forma propria. Beethoven non scrive su commissione e gode quindi di una certa libertà espressiva che gli tornerà utile quando continuerà a scrivere musica nonostante le condizioni di salute sfavorevoli.
Il successo oltre la disabilità
Le prime avvisaglie della sua sordità si manifestano già a trent’anni, quando ha difficoltà a comprendere le parole di chi gli parla a bassa voce. Ancora non ha problemi a suonare il piano, ma per sentire gli attori a teatro deve sedere vicino all’orchestra e le difficoltà a conversare lo costringono a un isolamento sociale e affettivo di cui soffre non poco.
Nonostante provi a porre rimedio alla propria condizione, ad esempio con la costruzione di alcune trombe auricolari risultate poi inefficaci, la perdita dell’udito prosegue inesorabile, portandolo a chiedere che gli vengano costruiti pianoforti sempre più rumorosi.
Man mano che la sordità si accentua, deve suo malgrado rinunciare al ruolo di direttore d’orchestra e infine anche alla possibilità di conversare se non in forma scritta, attraverso quelli da lui chiamati “libri di conversazione”.
Dall’isolamento alla gloria
Un genio isolato dal resto del mondo, impossibilitato a svolgere il proprio lavoro, Ludwig cede infine alla depressione, arrivando addirittura a tentare il suicidio. Ed è forse proprio in questa debolezza che possiamo ravvisare la sua straordinarietà. Perché al di là del genio, in Beethoven c’è l’uomo, un uomo che soffre, ma non si arrende. Non potendo più suonare, si dedica anima e corpo alla composizione, attività favorita dall’isolamento nel quale vive. È infatti ormai completamente sordo e mezzo cieco quando compone la sua Nona sinfonia, nel 1824.
Una vita solitaria
Nonostante fosse un uomo di aspetto gradevole, “possente, rude, fronte alta e spaziosa, naso corto e diritto, capelli arruffati e raggruppati in grosse ciocche, bocca graziosa e begli occhi che mutano espressione rapidamente, ora graziosi, amoroso–selvaggi, ora minacciosi, furenti, terribili” (descrizione del viso di Beethoven del dottor Wilhelm Mueller, 1820), Ludwig non si sposerà mai, pur innamorandosi di diverse donne, la più famosa è forse la contessa Giulietta Guicciardi, sua allieva, cui dedica la Sonata al chiaro di luna.
Sicuramente, gli amori impossibili del maestro ne hanno influenzato la musica, ma c’è un altro fattore che potrebbe avere a che fare con il cuore di Ludwig, seppure in un senso meno romantico.
Al ritmo di extrasistole
Secondo una ricerca pubblicata su Perspectives in Biology and Medicine e condotta da tre ricercatori della University of Michigan e della University of Washington, tra cui un musicologo, un cardiologo e uno storico, alcune composizioni di Beethoven potrebbero essere state influenzate dal suo battito cardiaco.
Come spiega Joel Howell, professore di Medicina Interna dell’Università del Michigan, alcune opere hanno un “andamento irregolare” che rifletterebbe proprio quello del cuore del compositore sofferenete di aritmia cardiaca, una patologia che porta il cuore a battere molto veloce o molto lento, con un ritmo per l’appunto irregolare”.
Insomma, ancora una volta il grande compositore tedesco dimostra come dalla malattia possano nascere opere immortali. Egli muore il 26 marzo 1827, a causa di una polmonite complicata da una cirrosi epatica.
Roberta Gatto