Maurizio Molinari, giornalista non vedente: «le categorie protette non bastano»

Fin da bambino, Maurizio Molinari insegue il sogno di fare cronaca. Sportiva, per la precisione, e più esattamente telecronaca o radiocronaca calcistica. Sogno che in qualche modo si è realizzato, non senza sacrifici.

Nato a Pescina in provincia dell’Aquila nel 1979, romano d’adozione, Forlì e Bruxelles sono però le sue città del cuore dove ha vissuto rispettivamente 8 e 7 anni. E in particolare alla città belga si lega il lavoro di Maurizio, addetto all’ufficio stampa del Parlamento Europeo in Italia.

La carriera

Come dichiara in un’intervista a Vita.it del 2018, «dopo le elementari ho iniziato a sognare di fare lo psicologo e poi l’interprete. Mi sono laureato alla scuola interpreti di Forlì, ma mi sono reso conto che sì, entravo in contatto con molte persone, ma l’interprete è più attento alla forma che al contenuto e così ho iniziato a ritornare al mio sogno da bambino».

Sogno che si realizza dopo una porta sbattuta in faccia. «Quando ho finito la scuola di giornalismo a Urbino» racconta , «ho provato a entrare in Rai, ma ho ricevuto solo porte in faccia». Il motivo? «Sicuramente la mia disabilità ha influenzato molto il giudizio di chi doveva prendere delle decisioni. Sono andato anche dai sindacati, in quanto all’epoca la Rai era obbligata ad assumere persone disabili, ma nulla da fare, un ruolo come giornalista non era previsto per un non vedente, solo centralinista o portineria».

L’esperienza all’estero

Fortunatamente, fuori dall’Italia le cose vanno diversamente. Forse anche memore del suo sogno quando era bambino, Maurizio si iscrive a un master di radio giornalismo a Liverpool. E lì arriva il contratto con la Bbc. «Ci sono rimasto tre anni» spiega, «mi occupavo di tutto, dal calcio al programma radiofonico “Outlook – interviste che raccontano il mondo dal basso” ed è stata davvero una bellissima esperienza. In Gran Bretagna, le pari opportunità sono vere, concrete. Anche alla Bbc. Mentre da noi non è così».

Un problema tutto italiano

Forte della propria esperienza all’estero, Molinari riflette sulle criticità del modello inclusivo in Italia, non solo per quanto riguarda il collocamento mirato. «Per i non vedenti sono previsti posti da centralinisti, non da giornalisti e per trovare venti persone con disabilità si fa fatica» racconta. «In Gran Bretagna sono molto assistenzialisti in senso positivo, se toccasse a me pensare a un modello penserei a favorire l’integrazione dando alle persone con disabilità la possibilità di partire dallo stesso livello. Non basta fare le categorie protette. Serve una cultura dal basso che fa sperimentare e mostri che tutto è possibile. Certo all’inizio le leggi servono, ma non bastano, occorre una cultura». E a sostegno della sua tesi, il giornalista porta due esempi: «anche se la legge impone di fare delle cose, se io vado in metropolitana a Londra parlo con l’addetto al mezzanino e via radio comunica che prendo quella corsa su quel vagone e che scenderò a quella stazione: mi facilitano il percorso. In Italia te lo scordi e se vuoi prendere un treno e hai una disabilità motoria devi avvisare 24 ore prima. Certo, si va avanti lo stesso. Però avendo vissuto all’estero ti accorgi che è differente, una società più abituata e progettata per l’integrazione delle persone con disabilità».

E infatti, a Bruxelles Molinari trova «un’apertura mentale incredibile, mi hanno dato un lavoro di responsabilità e sento di essere circondato da fiducia». Infine, un consiglio ai giovani con disabilità visiva: «i giovani non devono avere un approccio con il mondo del lavoro pensando che l’unica professione per un ipovedente o non vedente sia fare il centralinista: devono partire con l’idea che quasi tutte le professioni sono fattibili, devono seguire con convinzione quelle che sono le loro passioni e non arrendersi alle prime difficoltà e in egual maniera non ostinarsi con progetti che non si riesce a finalizzare».

Roberta Gatto

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