Da L’Havana a Bergamo: storia dell’atleta paralimpico Oney Tapia

Oney Tapia

“Un atleta a cui piace la fatica”. Così si definisce Oney Tapia, vincitore dell’oro agli europei 2018 e argento ai mondiali di lancio del disco 2019 e campione di Ballando con le stelle 2017, nota trasmissione in onda sulla Rai. Arrivato a Bergamo nel 2003 sempre per motivi sportivi (prima il baseball e poi il rugby), è nella città lombarda di Lodi che la sua vita cambia per sempre.

Un incidente sul lavoro (mentre taglia un albero di 50 metri) lo rende infatti cieco in modo permanente nel 2011. «Un impatto devastante» dice, «ma dove quella pianta è caduta, lì è stata seminata una piantina».

Classe 1976, alto 1,90 metri, Oney è un gigante dello sport e un vanto per l’Italia anche alle Paralimpiadi di Parigi 2024 dove si cimenterà nel lancio del disco e nel getto del peso. La sua storia di atleta non vedente è raccontata nel libro “Più forte del buio”, pubblicato da Harper Collins Italia nel 2018. Oney si diletta anche con il goalball e il torball con gli “Omero Runners Bergamo”, entrambi sport per non vedenti simili alla pallamano. Nel 2016 viene insignito del titolo di Ufficiale Ordine al merito della Repubblica italiana dal presidente della Repubblica.

Vita privata

Della sua vita privata si sa poco. Ha tre figlie, nate da due relazioni diverse, e proviene da una famiglia numerosa originaria di L’Havana.

«Non è stata facile la mia infanzia a L’Avana. Sono cresciuto in un quartiere in cui dovevi fare i conti con la malavita e praticare sport era necessario per difenderti: così ho cominciato col pugilato. Vengo da una famiglia numerosa e sin da piccoli abbiamo dovuto lavorare. Ma posso dire solo grazie ai miei genitori perché in quel contesto difficile sono riusciti a tirarci su come persone oneste senza mai cedere alla violenza: siamo stati tra i pochi di quel quartiere a non vedere le sbarre della prigione».

Per Oney, importante anche il legame con la Chiesa: «era il luogo del conforto dove sfogavo il mio dolore, mi accorgevo di uscirne più leggero e mi aiutava a non trasmettere negatività agli altri. Ascoltavo anche la Messa, imparavo le canzoni, poi tornavo a casa e le cantavo nel buio; le usavo per tenere lontane le paure. Devo ringraziare anche mia madre, la mia compagna e la sua famiglia che sono molto cattolici». E infatti, come tiene a sottolineare, non si sente un supereroe: «mi ispiro invece a san Francesco d’Assisi. Vorrei dire a tutti che una luce in fondo al tunnel può sempre accendersi e illuminare il nostro cammino. Per questo vado nelle scuole. Ai ragazzi dico che la vita ti mette alla prova, ma nonostante sconfitte e cadute bisogna lottare e mettersi in gioco per ottenere dei risultati. Chi si arrende, perde prima di cominciare. Todo en la vita se puede: basta volerlo».

Roberta Gatto

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