Gli ordigni inesplosi della Seconda Guerra Mondiale continuano a fare vittime

Immaginate tre quindicenni, giovanissimi studenti di Agraria, in una giornata di primavera in Val di Susa. Immaginate i loro volti spensierati e pieni di entusiasmo mentre si recano in un campo per prepararlo alla coltivazione di patate. Un’esercitazione scolastica, quella del 2 marzo 2013, destinata però a una tragica conclusione. Immaginate i tre ragazzi in procinto di tornare a casa. La giornata è stata proficua, il risultato li ha ripagati di tanta fatica. Sui loro volti sudati, un sorriso soddisfatto.

L’incidente

Quando ecco che all’improvviso un oggetto attira la loro attenzione. Un piccolo cilindro rosso, sembra un lumino da camposanto. La curiosità spinge uno di loro, Nicolas, a prenderlo in mano per esaminarlo. Gli altri due, Lorenzo e Stefano, si avvicinano animati dalla stessa curiosità.

È un attimo. L’oggetto, una bomba a mano in dotazione all’esercito italiano durante il secondo conflitto mondiale, esplode tra le mani di Nicolas. Il ragazzino perde la vista, la mano destra e alcune falangi della sinistra. Lorenzo perde la vista, mentre Stefano riporta ferite più lievi, almeno dal punto di vista fisico. Dopo 80 anni, quel conflitto continua a fare vittime.

I numeri della guerra

Nel 2023 sono stati cinque i morti per ordigni inesplosi in Italia. «È una cosa assurda» commenta Nicolas « e immaginiamo negli altri conflitti Ucraina, Afghanistan e Siria cosa sia. Senza dimenticare la Striscia di Gaza».

Cimitero di Verdun, in Francia

A luglio di quest’anno, un altro ordigno è stato ritrovato vicino al luogo dell’incidente del 2013. Stavolta, a imbattersi in un proiettile di artiglieria è stato un gruppo di ventenni durante una passeggiata in un bosco a Novalesa. La prima reazione dei ragazzi è stata quella di chiamare proprio Nicolas e Lorenzo, rispettivamente presidente e consigliere dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra del Piemonte. «Gli ordigni sono pericolosi, possono anche esplodere all’improvviso, per questo è essenziale sensibilizzare la cittadinanza per far sì che i ritrovamenti non si trasformino in incidenti come è successo a me» dice ancora Marzolino. In Italia si contano circa 250mila ordigni ancora inesplosi risalenti al secondo conflitto mondiale. Nell’ottobre 2021, a Granarolo in Emilia, è stata disinnescata una bomba d’aereo di 220 chili.

Una triste eredità

Non va meglio ai cugini francesi. Nel cuore della Francia sono infatti ancora presenti centinaia di migliaia di ordigni inesplosi, stavolta della Prima Guerra Mondiale. La zona rossa si trova nei boschi attorno a Verdun, dove persino i campi sono ancora impregnati dei gas tossici in dotazione all’esercito. Nella sola Francia nord-orientale, vengono distrutte in media 460 tonnellate di bombe e proiettili inesplosi ogni anno e tuttavia restano ancora molti residuati da ritrovare.

Secondo un’analisi di Groundsure (società britannica che offre consulenze sui rischi ambientali nel settore immobiliare), «la Francia settentrionale è un’area in cui si verificarono molte delle battaglie del fronte occidentale durante la Prima guerra mondiale. Qui furono sparati più di un miliardo di proiettili. È stato stimato che il 30 per cento di questi non è esploso (circa 30milioni di ordigni)». Non va meglio in Belgio e Germania, dove molti residuati dei conflitti bellici del Novecento continuano a inquinare le zone destinate alla coltivazione e alla zootecnia.

Disastro ambientale

Veleni e metalli pesanti impregnano il suolo nelle zone di guerra: sostanze come piombo, rame, zinco, arsenico, solventi clorurati, esplosivi nitro aromatici insieme a sostanze tossiche pericolose per la salute.

Un report di Legambiente riferisce di ordigni scaricati nell’Adriatico, dalla laguna di Venezia fino alla Puglia, da aerei Nato di ritorno dal Kosovo.

Ancora più recente è infine il conflitto tra Russia e Ucraina: il ministro degli Affari interni ucraino Denys Monastyrsky ha dichiarato in un’intervista ad Ap News: «Ci vorranno anni per disinnescare gli ordigni inesplosi». In un articolo di Euronews.green si legge: «la possibilità di un disastro nucleare è solo la punta dell’iceberg quando si tratta delle innumerevoli conseguenze che l’invasione dell’Ucraina infliggerà all’ambiente. L’impatto è sbalorditivo, includendo le crescenti emissioni dovute all’attività militare, le fuoriuscite e le nubi tossiche causate dalla distruzione di impianti industriali e di stoccaggio del carburante, la contaminazione dell’acqua e del suolo da metalli pesanti e sostanze chimiche da bombe e armi e persino la distruzione di colture e fauna selvatica. Potrebbero volerci decenni prima che l’Ucraina e il mondo intero si riprendano dall’impatto del conflitto».

La guerra, insomma, continua a distruggere e uccidere anche a distanza di un centinaio di anni. Una triste storia destinata purtroppo a a ripetersi.

Roberta Gatto

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