Salute, smettere di fumare non basta
Ad affermarlo è la Sima (Società italiana di medicina ambientale) durante la prima conferenza internazionale di medicina ambientale. Si tratta di uno studio lungo trent’anni che ha rivelato come il fumo sia in grado di modificare i geni umani anche a distanza di lungo tempo dall’ultima sigaretta.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Journal of Cardiovascular Genetics, è stata presentata lo scorso 11 settembre dal preside della Harvard School of Public Health, Andrea Baccarelli, durante una conferenza internazionale di medicina ambientale tenutasi a Chieti, presso l’università Gabriele D’Annunzio.
Durante il meeting intitolato“Minacce Ambientali alla Salute Umana: dalla Genetica all’Epigenetica”, al quale ha preso parte anche il genetista Premio Nobel per la Medicina Richard Roberts, si è discusso anche dell’importanza di una nuova visione della medicina basata sulla prevenzione.
I risultati
Il report della Sima evidenzia come «I marcatori epigenetici dei fumatori, vale a dire le alterazioni (metilazioni del Dna) degli “interruttori” dei nostri geni non ritornino mai più nelle condizioni precedenti, nemmeno a distanza di decenni dalla cessazione del fumo di sigaretta».
In pratica, il fumo aumenta le probabilità di infarti e ictus anche a distanza di 30 anni. Questo nemico della salute non è però l’unico fattore di rischio. Anche gli inquinanti ambientali, infatti, hanno un impatto negativo sull’epigenetica.
Smog e inquinamento industriale
«Le ricerche sperimentali condotte su placente umane sembrano riscontrare differenti alterazioni epigenetiche a seconda della tipologia di inquinanti più diffusi nelle diverse città, a seconda della predominanza di emissioni da traffico o di tipo industriale, come quello delle acciaierie» spiega il Rettore dell’Università di Chieti, Prof. Liborio Stuppia. «Sono proprio queste alterazioni epigenetiche a essere responsabili dell’epidemia di obesità e del calo della fertilità che si diffondono rapidamente a livello mondiale, come risultato delle continue interazioni tra il nostro patrimonio genetico e i contaminanti ambientali (metalli pesanti, bisfenolo, microplastiche ecc.) già nel grembo materno, o presenti addirittura prima della nascita nelle cellule germinali dei futuri genitori».
Non solo malattie cardiovascolari
I dati sono tutt’altro che confortanti. Secondo gli esperti, gli inquinanti ambientali a interferenza endocrina (ovvero che agiscono sul sistema di produzione ormonale) sono responsabili di ben 3,5 milioni di casi di asma nel mondo.
E non è tutto. Sono anche causa «dell’incremento del numero di diabetici, inclusi i bambini che sempre più soffrono di questa patologia» dichiara il vicepresidente della Sima Prisco Piscitelli. E sottolinea: «si stima che il numero dei diabetici nel complesso passerà dagli attuali 463 milioni a 578 milioni nel 2030, per raggiungere quota 700 milioni di malati nel 2050, con un incremento del 51 per cento».
I killer della salute
«Tra i principali inquinanti responsabili di queste modifiche epigenetiche troviamo i metalli pesanti (come piombo, mercurio e cadmio), i composti organici (come i pesticidi) e le polveri sottili (PM2.5), emesse soprattutto dal traffico urbano e dall’industria. L’esposizione a questi agenti tossici è stata associata a un aumento del rischio di malattie croniche, quali il cancro, le malattie cardiovascolari e quelle neurodegenerative. E’ sempre più urgente spostare i riflettori verso una vera prevenzione primaria, attraverso una nuova visione in grado di rimuovere le cause ambientali che contribuiscono all’insorgenza di malattie specie in ambito pediatrico» conclude il presidente della Sima, Alessandro Miani.
Roberta Gatto