Sport e disabilità: la Champions League dei calciatori amputati
C’è un’altra Champions League oltre a quella che tutti conosciamo. Si tratta di una competizione che vede sfidarsi dei calciatori molto particolari. Stiamo parlando del calcio amputati, dove le squadre sono formate da 7 giocatori e le partite sono strutturate in due tempi da 25 minuti.
I sei giocatori di movimento devono essere amputati per forza a un arto inferiore, basta che il moncone non tocchi per terra. Bisogna usare esclusivamente le stampelle, nessun tipo di protesi. Le stampelle, però, sono considerate solo come ausilio e vengono considerate un prolungamento del braccio e della mano. Quindi se le si usa per stoppare la palla è fallo. Il portiere, invece, deve essere amputato a un arto superiore. A prescindere da quale sia la grandezza del moncone che gli rimane, deve fasciare l’amputazione sotto la maglia con una fascia, in modo tale da non utilizzarla anche per bloccare un eventuale pallone in arrivo. Avendo due gambe non può uscire dall’area. Le rimesse laterali vengono battute coi piedi e non c’è il fuorigioco. I cambi sono illimitati».
A raccontare le regole di questo sport è Francesco Messori, capitano e fondatore della Nazionale Italiana di Calcio Amputati. «La passione per il calcio è qualcosa di congenito, un po’ come l’arto mancante. Sono nato così, senza la gamba destra, ma con la voglia di giocare a pallone. Ho iniziato con la protesi, la prima l’ho indossata a circa 18 mesi, ma dopo pochi anni ho deciso di passare alle stampelle».
La storia di Francesco
Francesco Messori comincia a giocare a calcio molto presto e lo fa in squadre ufficiali. Tuttavia, a causa delle stampelle, non può giocare con i compagni nelle competizioni ufficiali.
Le regole infatti vietano di entrare in campo con oggetti che possano ferire l’avversario e per Francesco la protesi è troppo costrittiva, «poi mi dava parecchio fastidio, perché creava abrasioni e irritazioni» racconta. La svolta arriva nel 2012 grazie al Csi, il Centro Sportivo Italiano, che lo tessera e gli permette di partecipare ai campionati ufficiali al fianco dei compagni senza disabilità.
La Nazionale amputati
Francesco ha soltanto 13 anni quando dà vita, con il supporto del Csi e della madre Francesca Mazzei, alla prima Nazionale italiana di calcio per amputati. «Mi chiedevo se qualcuno avesse costruito una squadra con persone come me. In Italia niente, mentre all’estero c’erano già alcune nazionali. L’attenzione mediatica su di me e sul progetto mi ha permesso di realizzare questo sogno».
Primi successi
Un traguardo importante che lo porta fino all’Onu. «A 19 anni, su invito di Carlo Ancelotti e Marco Tardelli ho partecipato alla cerimonia di inaugurazione del Change the World Model United Nations al Palazzo di Vetro a New York, parlando davanti a 3mila studenti, arrivati da 110 Paesi». La squadra intanto prende vita anche grazie ai social. Infatti, è tramite Facebook che arrivano le prime richieste da parte di aspiranti calciatori amputati.
Oggi, in Italia si contano quattro squadre (Vicenza, Sporting di Pesaro, Lazio Calcio Amputati e Insuperabile di Torino), riconosciute dalla Fispes, la Federazione Italiana Sport Paralimpici e Sperimentali. «Ci sono dei contatti con la Figc (Federazione Italiana Giuoco Calcio), ma è tutto ancora prematuro» spiega ancora Francesco.
Fino alla Champions
Quest’anno, dal 20 al 22 settembre a Sassuolo, si disputa la prima Champions League di calcio amputati. A sfidarsi sono il Vicenza, dove Francesco gioca come centrocampista e sette squadre da Inghilterra, Irlanda, Francia, Polonia, Spagna, Turchia e Georgia.
Roberta Gatto