Tecnologia: mani e sensori robotici per la disabilità
«Facciamo ricerca nel campo della dinamica del cervello. Usiamo materiali intelligenti, partendo da scarti come le bucce». Così i ricercatori della Scuola Sant’Anna di Pisa spiegano il loro lavoro nel campo della biorobotica.
Bucce di mandorle usate come sensori in grado di monitorare l’ambiente, ma non solo. Dispositivi che consentono di giocare ai videogame sfruttando le reti neurali e mani robotiche in grado di sostituire quelle umane. «Studiamo come utilizzare e decodificare i segnali neurali che possono essere registrati ad esempio con elettroencefalogrammi o con impianti neurali» spiegano Teo Fantacci e Matteo Pizzinga, ricercatori alla Sant’Anna. «Ci occupiamo quindi degli algoritmi per decodificare i segnali neurali e le intenzioni di movimento. Ci sono già applicazioni, una persona paralizzata che può comandare un braccio robotico o giocare a un videogioco, senza muoversi».
Da tutto il mondo per la ricerca
Ma studenti e ricercatori dell’Università pisana non provengono soltanto dal nostro Paese. Felipe Diaz, ad esempio, è arrivato dalla Colombia per realizzare muscoli artificiali, dando la possibilità di impiantare esoscheletri all’interno di sistemi scheletrici umani in pazienti con disabilità motoria.
Il progetto, denominato Muse, è coordinato da Leonardo Cappello e ha come obiettivo lo sviluppo di muscoli esterni e artificiali (esomuscoli) controllabili dal paziente in modo naturale.
«L’obiettivo principale è quello di sviluppare esomuscoli innovativi ed efficienti per supportare le persone con gravi debolezze muscolari» spiegano i ricercatori. «Grazie alla solida esperienza nella robotica soft e nei materiali innovativi, il progetto svilupperà questi sistemi combinando l’estrema portabilità degli attuatori pneumatici in tessuto con l’efficienza energetica e la rapidità delle strutture elastiche non lineari. Questi saranno poi collegati in modo affidabile all’utente attraverso dispositivi impiantati sulle ossa, per garantire l’eccellente stabilità meccanica propria dell’osteointegrazione, ampiamente adottata nelle protesi dentali e sempre più esplorata nelle protesi degli arti, ma ancora inesplorata negli esoscheletri».
Un’idea innovativa in grado di cambiare la vita delle persone con ridotta mobilità. «Questo approccio aprirà la possibilità di suscitare l’osteopercezione, cioè il feedback sensoriale necessario per controllare il movimento attraverso la conduzione ossea» proseguono gli esperti. «Muse potrebbe portare beneficio a tutti coloro che necessitano di potenziamento sensomotorio, in quanto può essere potenzialmente esteso a tutti i tipi di esoscheletri (dagli arti superiori a quelli inferiori, dai dispositivi di assistenza a quelli di potenziamento). Inoltre, poiché Muse si prefigge di collegare il corpo al mondo esterno, può essere la pietra angolare per creare un collegamento bidirezionale tra l’uomo e la macchina a un livello sempre più intimo».
Roberta Gatto