Lo scienziato Michele Mele e la sua esperienza a Cambridge
Si è conclusa l’11 dicembre nel Dipartimento di Ingegneria chimica e biotecnologie dell’Università di Cambridge (Regno Unito) ReachSci, la più importante conferenza mondiale sull’inclusione, la Diversità, l’Uguaglianza e l’Accessibilità nel mondo della ricerca.
La tre giorni di incontri, workshop e seminari, dal 9 all’11 dicembre, ha visto la presenza nel pomeriggio del 10 dicembre del matematico non vedente Michele Mele, intervenuto in qualità di relatore. Il ricercatore salernitano, conosciuto per le sue ricerche in Italia come all’estero, per i suoi libri e per il suo attivismo nell’abbattimento dei pregiudizi legati alla disabilità visiva nel mondo delle materie scientifiche, ha presentato la vita e le opere del matematico Nicholas Saunderson (1682-1739), primo scienziato non vedente della storia e protagonista del primo libro di Mele, “L’Universo tra le Dita”, dove vengono raccontate le vite di dieci scienziati ipovedenti e non vedenti.
L’esperienza a Cambridge
Nel corso del suo intervento, Mele ha portato la propria testimonianza di matematico non vedente ricordando come, già agli inizi del XVIII secolo, lo studio della matematica fosse non solo possibile da parte di persone non vedenti, ma anche imprescindibile per il progredire delle scoperte scientifiche. Ha quindi ricordato la vita e il lavoro di Nicholas Saunderson, primo matematico non vedente della Storia.
La cecità come risorsa
Saunderson è stato una figura centrale per il mondo della matematica, apportando numerosi contributi alla materia non solo a livello teorico, ma anche a livello pratico.
Basti pensare alla tavola inventata da Saunderson per lo studio della matematica da parte di persone non vedenti. Siamo agli inizi del 1700 e Saunderson è un giovane autodidatta. Il metodo alfanumerico Braille non è ancora stato inventato, ma il giovane scienziato britannico inventa un metodo per lo studio della matematica basato su una tavola suddivisa in quadrati, ognuno dei quali presenta una croce con un foro al centro dove infilare uno spillo.
«Sulla tavola di Saunderson» spiega Mele, «sono tutt’oggi basati gli abachi utilizzati da persone vedenti». Ma non solo. Proprio a Cambridge, Saunderson ottiene, nel 1711, la cattedra di matematica, appartenuta qualche anno prima a Isaac Newton e dalla quale ha insegnato anche lo scienziato moderno Stephen Hawking.
Divenuto professore lucasiano a Cambridge, Nicholas Saunderson insegna non solo matematica, ma anche ottica, un paradosso per un non vedente.
«L’ottica, lo studio della luce, si basa sulla matematica. Non deve quindi sorprendere il fatto che un non vedente sia stato in grado di insegnare questa materia» spiega ancora Mele. «Inoltre, proprio il fatto di vedere da un diverso punto di vista ha permesso a Saunderson di uscire dagli schemi e dare un contributo alla matematica che un vedente non avrebbe potuto apportare».
Inclusione e progresso
Mele ci ricorda quindi come l’inclusione non sia importante soltanto per una società giusta ed egalitaria, ma anche e soprattutto per permettere alla società (e alla scienza) di progredire. «Il problema» sottolinea infine il ricercatore salernitano, «nasce dalla scuola, soprattutto in Italia, dove il metodo insegnato è ancora quello utilizzato nel periodo fascista. Inoltre, la tendenza è quella di credere che i ragazzi e le ragazze con disabilità visiva non possano studiare matematica come gli altri. Non è così. Oggi possediamo diversi ausili che ci possono aiutare, dal Braille alle moderne applicazioni per computer e telefono. Non a caso mi sono occupato della traduzione italiana di MathSpeak, uno strumento per insegnare la matematica alle persone con disabilità visiva».
Il connubio tra materie scientifiche e disabilità visiva dunque è veramente possibile e auspicabile, come ci insegna la storia di Saunderson e come testimonia lo stesso Michele Mele con il suo lavoro e i suoi successi.
Roberta Gatto