Una nuova terapia genica per combattere la maculopatia

Una nuova speranza per chi soffre di maculopatia degenerativa legata all’età. È infatti in fase di sperimentazione una nuova terapia in grado di evitare le iniezioni intraoculari a cui si deve sottoporre chi soffre di questa patologia.

Il trattamento, attualmente in via sperimentale sull’uomo anche in Europa, si basa sull’ingegneria genetica e si propone di sostituire le terapie tradizionali con un’unica somministrazione.

La maculopatia degenerativa

La maculopatia è tra le principali cause di cecità nei Paesi industrializzati. In Italia, colpisce più di un milione di persone. Si tratta di una degenerazione della macula, la componente della retina responsabile della visione centrale e dei dettagli. Nella forma essudativa, la malattia si caratterizza per la formazione di vasi sanguigni anomali sotto la retina. La visione viene quindi compromessa dal sanguinamento di questi vasi.

Chi soffre di questa patologia deve spesso sottoporsi a trattamenti invasivi con iniezioni intraoculari mensili, tuttavia queste terapie non risolvono la condizione, ma ne attenuano i sintomi rallentandone il progredire.

Si tratta quindi di una malattia a degenerazione progressiva, molto pesante tanto dal punto di vista fisico quanto da quello mentale.

La nuova terapia

Il trattamento sperimentale si basa sull’utilizzo di un virus inattivato in grado di portare all’interno delle cellule le istruzioni genetiche necessarie a produrre delle specifiche proteine. Queste proteine producono la stessa azione dei farmaci anti-Vegf (Vascular Endothelial Growth Factor) attualmente in uso per trattare alcune forme di maculopatia. La differenza sostanziale è la produzione continua e localizzata della proteina terapeutica nella macula, senza il bisogno di iniezioni continue. Uno dei primi centri europei a sperimentare il trattamento è l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, dove una paziente di 76 anni è stata sottoposta al trattamento durante un intervento chirurgico con ottimi risultati.

Roberta Gatto

Lascia un commento