Oggi curarsi costa sempre di più e gli italiani ci rinunciano
Sono quasi 5 milioni gli italiani che rinunciano a prestazioni sanitarie necessarie, mentre un’altra grossa fetta di popolazione spende oltre 40 miliardi l’anno per cure spesso non essenziali.
Circa il 40 per cento delle prestazioni e delle spese sanitarie nel nostro Paese sono legate al cosiddetto consumismo sanitario e non apportano reali benefici alla salute. I dati, raccolti nel Rapporto dell’Osservatorio Gimbe sulla “Spesa sanitaria privata in Italia 2023” commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (Onws), sono stati presentati a Roma, durante il convegno “La Sanità integrativa tra sfide, riforme ed esigenze di una nuova narrazione”, presso la sede del Cnel, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro.
Per cosa si spende di più
Ma quali sono le cure più costose in Italia? Secondo l’analisi dell’Osservatorio, si spende in primis per cure odontoiatriche e riabilitative, poi per farmaci, apparecchi e assistenza a lungo termine.
La spesa sanitaria è inoltre maggiore nelle regioni più ricche, dove la sanità pubblica funziona meglio. In particolare, gli italiani spendono circa 18 miliardi l’anno per cure come dentista e fisioterapia, 15 miliardi per farmaci e apparecchiature e 4,4 miliardi per l’assistenza a lungo termine.
Tuttavia, fanno notare dall’Osservatorio, circa il 40 per cento di queste spese sono legate al consumismo sanitario, ovvero ad esempio all’acquisto di farmaci inefficaci o ad analisi e visite mediche non necessarie.
Come ridurre la spesa privata
Secondo l’analisi dell’Osservatorio, l’88,6 per cento della spesa privata è a carico diretto delle famiglie, mentre solo l’11,4 per cento è intermediata.
«Ridurre la spesa out of pocket (di tasca propria) richiede un approccio di sistema articolato in tre azioni» spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. E cioè, «innanzitutto, un progressivo e consistente rilancio del finanziamento pubblico da destinare in primis alla valorizzazione del personale sanitario per rendere più attrattiva la carriera nel Ssn; una maggiore sensibilizzazione dei cittadini per contrastare gli eccessi di medicalizzazione e una formazione mirata dei medici per limitare le prescrizioni inappropriate; una rimodulazione del perimetro dei Livelli essenziali di assistenza, oggi insostenibili per il numero di prestazioni incluse rispetto alle risorse pubbliche disponibili, per restituire al secondo pilastro il ruolo primario d’integrazione rispetto alle prestazioni non incluse nei Lea, come l’odontoiatria e la long-term-care, alleggerendo così la spesa delle famiglie».
Dove si spende di più
Non tutte le regioni sono uguali. Secondo il rapporto Gimbe basato su dati Istat al 1 gennaio 2023, la Lombardia è la regione dove si spende di più, con oltre mille euro pro capite, seguita da Emilia Romagna e Veneto mentre la Basilicata è quella dove si spende meno, con circa 377 euro contro una media nazionale di 730 euro.
Di contro, circa 4 milioni e mezzo di italiani rinunciano a cure essenziali ed esami diagnostici. Di questi, ben 2 milioni e mezzo per motivi economici, mentre il restante a causa delle lunghissime liste di attesa. «Questo dato» sottolinea Cartabellotta, «conferma quanto il livello di reddito sia una determinante fondamentale della spesa out of pocket, sia che il valore della spesa delle famiglie, al netto del sommerso, non è un parametro affidabile per stimare le mancate tutele pubbliche, perché condizionato dalla capacità di spesa individuale».
In pratica, si spende di più dove si guadagna di più e non dove è più necessario.
Roberta Gatto