“Dall’acquisizione della letto-scrittura Braille agli strumenti digitali”

Caterina Argiolas
«Insegnare a scrivere ai piccoli, vuol dire sviluppare la funzionalità del gesto». Attacca così Caterina Argiolas esperta docente Ierfop. L’assioma strizza l’occhiolino al sistema Braille, «che non sparisce, ma resta uno strumento fondamentale per poter utilizzare al meglio gli altri ausili a disposizione delle persone cieche e ipovedenti».
L’intervento a cura della formatrice Ierfop Caterina Argiolas mette in luce i parallelismi tra l’apprendimento della scrittura in nero da parte di bambini vedenti e di quella in Braille da parte di bambini non vedenti.
Si parte dalla tavoletta Braille, primo strumento per imparare la lettoscrittura inventata da Louis Braille nel 1825, fino ad arrivare agli strumenti digitali come la sintesi vocale. Ma è soprattutto sulla “tavoletta” e sul punteruolo necessario per fissare i “punti” che la docente si sofferma. E la mette giù decisa: «l’era digitale non potrà mai sostituire completamente la scrittura». Il motivo? «È un percorso che va di pari passo con quello dei bambini vedenti, dalla penna ai dispositivi mobili, perché “la mano è lo strumento espressivo dell’umana intelligenza”, come diceva Maria Montessori». E la scrittura «è un gesto motorio che oggi però viene sempre più trascurato nelle scuole». E a dirlo non è solo lei, «ma già Augusto Romagnoli», insegnante cieco scomparso nel 1946.
Caterina Argiolas lamenta come nelle scuole oggi, «i bambini arrivano già “digitalizzati”, non sanno muoversi, non hanno il senso motorio». Una provocazione? «In ogni classe, mediamente solo due sanno realizzare una capriola. Incredibile». Nelle aule, poi, il Braille non viene più insegnato con la tavoletta e il punteruolo. Le ragioni? «Il punteruolo rappresenta un pericolo per i bambini perché adatto a pungere. Io continuo a farlo usare perché ai bambini si devono far conoscere anche le cose pericolose perché possano esorcizzarle». Quindi, la decisione didattica presa: «prima la tavoletta, poi la dattilo scrittura e poi la sintesi vocale».
Le difficoltà nell’Insegnamento della scrittura
«Lavorando nella scuola primaria ho riscontrato grandi difficoltà nell’apprendimento della scrittura da parte dei bambini normodotati» spiega Argiolas. «Le stesse difficoltà riscontrate con bambini non vedenti».
La scrittura è infatti un movimento che mette in gioco tanto la mente quanto il corpo. «Si tratta di un processo neurologico, cognitivo, attentivo, emotivo. Insegnare a scrivere significa promuovere il gesto e promuovere l’apprendimento del Braille al pari della scrittura in nero, significa promuovere il rispetto della disabilità».
Ancora oggi, si fa confusione tra cecità e ipovisione, con la conseguenza che i bambini non vedenti sono in ritardo sull’apprendimento rispetto ai coetanei vedenti.
L’importanza della manualità
Per imparare a leggere e scrivere, in nero come in Braille, sono inoltre necessari alcuni prerequisiti, imprescindibili per un corretto sviluppo psicomotorio ai fini di ottenere un atto grafico complesso.
«È fondamentale fare un primo lavoro in famiglia» prosegue Argiolas, «così come nella scuola dell’infanzia. Se questo lavoro preliminare non viene fatto, i bambini si troveranno in grande difficoltà nell’uso delle mani». Nei bambini vedenti e non, manca quindi la manualità fine, tra i prerequisiti per l’apprendimento della scrittura.
«Per chi scrive in nero, la differenza è la necessità di una capacità oculo manuale, sostituita da una buona discriminazione tattile nella scrittura Braille».
Dalla scrittura alle capacità spazio-temporali
La capacità di scrivere in nero o in Braille apporta benefici su più aspetti della sfera cognitiva. Tra questi, migliora l’equilibrio statico e dinamico, la propriocezione (ovvero la conoscenza del proprio corpo), l’acquisizione di concetti topologici come distinguere sopra e sotto, dietro e davanti, e infine l’autonomia.
La scrittura è un atto motorio e in quanto tale va sviluppato per gradi. «Già detto dei bambini non sanno fare una capriola, ma sono tanti che non sanno allacciarsi le scarpe o il giubbotto. Parliamo di bambini normodotati, dove su venti bambini solo tre riescono a compiere queste azioni» sottolinea ancora la docente.
La scrittura permette inoltre di analizzare e programmare atti motori complessi e di mettere il Corpo in relazione all’ambiente. «Il foglio e la tavoletta Braille sono spazi strutturati e limitati. Nella scrittura l’orientamento spaziale segue anche un suo ritmo, dando modo al bambino di sviluppare l’organizzazione temporale. I bambini che non sanno il Braille non si sanno muovere».
Braille e pensiero cognitivo
Partire dalla scrittura, quindi, per sviluppare le capacità di orientamento e mobilità, ma non solo. «La scrittura attiva molteplici stimoli cerebrali» prosegue la docente Ierfop. «Quando si scrive, il movimento della mano attiva diverse funzioni cognitive, insieme alla memoria, all’identificazione delle parole, all’elaborazione dei pensieri, all’espressione delle emozioni».
L’era digitale e il futuro della scrittura Braille
«Molti bambini vedenti non sanno scrivere in corsivo» continua Argiolas, «così come molti bambini non vedenti non imparano a scrivere in Braille, e la causa è da ricercarsi nell’uso precoce di schermi digitali». L’era digitale può quindi sostituire la scrittura? «No, perché scrivere un testo con le proprie mani significa essere attivi e consapevoli del proprio agire, senza mediatori umani o digitali come la sintesi vocale».
La scrittura promuove l’autonomia
«Il braille è una scrittura complessa, ma si può imparare come un gioco fin da bambini. È un sistema conosciuto da una minoranza ma è anche uno strumento compensativo del deficit visivo. Richiede motivazione e sforzo» spiega ancora la docente, «ma alla fine si viene gratificati dal risultato».
Tra gli obiettivi di educatori e insegnanti troviamo quindi quello di evitare il rifiuto da parte dei bambini, promuovere un potenziamento integrato dell’apprendimento del Braille e l’insegnamento di tutti gli strumenti per la scrittura come la tavoletta e la dattilo Braille.
«La Tavoletta Braille per i bambini non vedenti è come la penna per quelli vedenti. La differenza sostanziale è il gesto motorio, la concentrazione maggiore e la necessità di evitare cancellazioni. Cominciare con uno spazio piccolo come la tavoletta, equivalente a un piccolo quaderno, permette di prendere confidenza con lo spazio. Poi si può passare alla dattilo Braille, di cui oggi esistono modelli più piccoli della Perkins, colorati, belli da vedere».
Infine, si può passare al display Braille e alla sintesi vocale. «Fondamentale non omettere alcun passaggio» ricorda Argiolas. «Solo così si può insegnare veramente l’autonomia ai bambini».
Roberta Gatto